Gli Spot & l’Isola

C’è crisi, però al mattino si svegliano già belli e distesi (nei loro pigiami impeccabilmente stirati) quei tipi dei biscotti, delle tavolate piene di caffè latte marmellate e fiori; quei tipi delle macchine che corrono su strade vuote; ma dove corrono, tutti, e soprattutto su quali strade, se sono sempre vuote?

La pubblicità dice sempre la stessa cosa: compra, va tutto bene, guarda che con quel suv e con la barba incolta sei davvero “figo” – guarda quella che gambe, ha appena fatto il sugo e la lasagna e il pollo e le crocchette.

Fatevi un giro in macchina, poi tutti a bere acqua snellente, fibre “facilitanti”. Poi tutti a ridere di gusto per il nuovo piano tariffario e per tutti quei minuti e messaggi da mandare anche nel sonno, altrimenti come li consumeremo mai.

Del resto, mandami un messaggio e dimmi basta con i grassi in cucina, abbonati subito e riceverai a casa un divano con sopra tre stangone bionde sempre ridenti (il sorriso è altra cosa).

Dopo la doccia, se il capo ti aspetta in ufficio, indossa pure la tua camicia preferita ma non prima di avere aperto il cassetto pieno di decine, decine & decine di calze appena filate e piene di colori. Non aver fretta di prendere la metropolitana, la strada è vuota e aspetta solo te.

Puoi startene per un’ora a gocciolare sul tappeto, del tutto inebetito, mentre fuori nevica e tu hai il cruccio di non poter indossare più paia di mutande tutte insieme.

Del resto, se non vuoi prendere la metro con quella bibita è noto che puoi evitare gli ingorghi (che non ci sono mai negli spot) perché tanto voli alto e li guardi da lassù come se fossi un palloncino colorato che sale & sale & sale, per andare chissà dove a scoppiare vuoto e mesto.

Nessun problema: appena vorrai, potrai restituirci la macchina pur senza il fanalino anteriore destro, soddisfatto e rimborsato, soprattutto se le rughe d’espressione dipendono da una espressione di fatica quotidiana. Gratta e vinci una vita nuova in un villaggio con palme, spiagge bianche e bibite fluorescenti da bere in piena notte prima del calcetto o del volley giocati in compagnia di chi vuoi tu, mentre quella che ha quel filo sintetico al posto del costume, tra una natica e l’altra, ti sorride ammiccando, tra un party e l’altro.

Poi c’è la realtà. Una fila, tutti affilati, senza nome e con un numero: chissà che pensavano, chissà che dicevano, se dicevano qualcosa, qualcosa come: guarda là, si vede la Terra, forse è l’Italia, ti ricordi quella volta, quella che andammo al villaggio a vedere la partita, quella che il rigore finì dritto in porta, poi l’Italia vinse i mondiali; ma io ho un cugino a Berlino, sì, a Berlino. Il cielo è azzurro anche sopra Berlino. In Italia passo soltanto, se il Profeta mi proteggerà, se Gesù mi proteggerà, se Nessuno Nomini il Suo Nome Invano mi proteggerà.

Ho fame e tanto freddo, non ho mai visto il mare, così tanto mare, tutto insieme. Mi chiamo, sì, mi chiamo… Come mi chiamo? Non lo ricordo, sai, ho freddo, tanto freddo. Forse, sì, non mi chiamo proprio più. Tanto non capiscono mai il mio nome, mi dicono marocchino, anche se vengo dalla Siria o dal Marocco o da Tripoli.

Poi mi dicono “tu” ma io ho un nome, sai, ho studiato e parlo bene tre lingue. Mi serviranno. Me lo diceva mia madre, “ti serviranno a parlare con gli altri e a farti capire”.

Ricordi che bei tramonti al villaggio? Dicono che visto dall’alto il Mondo è più bello e fa meno rumore e fa meno male.

Io lo so il nome dell’Isola che vediamo. Si chiama Lampedusa, è già Italia ma è ancora Africa. Loro non sapranno mai il mio nome, ma fa lo stesso. Soprattutto se riesco ad arrivare a Berlino.

Giovanni Bongo (per gentile concessione de: http://www.ilvolantinoditricase.it)

download