Proposta: #dilloinitaliano

Da change.org

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Una petizione per invitare il governo italiano, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese a parlare un po’ di più, per favore, in italiano.
La lingua italiana è la quarta più studiata al mondo. Oggi parole italiane portano con sé dappertutto la cucina, la musica, il design, la cultura e lo spirito del nostro paese. Invitano ad apprezzarlo, a conoscerlo meglio, a visitarlo.

Le lingue cambiano e vivono anche di scambi con altre lingue. L’inglese ricalca molte parole italiane (“manager” viene dall’italiano maneggiare, “discount” da scontare) e ne usa molte così come sono, da studio a mortadella, da soprano a manifesto.
La stessa cosa fa l’italiano: molte parole straniere, da computertram, da moquette a festival, da kitsch a strudel, non hanno corrispondenti altrettanto semplici, efficaci e diffusi. Privarci di queste parole per un malinteso desiderio di “purezza della lingua” non avrebbe molto senso.

Ha invece senso che ci sforziamo di non sprecare il patrimonio di cultura, di storia, di bellezza, di idee e di parole che, nella nostra lingua, c’è già.
Ovviamente, ciascuno è libero di usare tutte le parole che meglio crede, con l’unico limite del rispetto e della decenza. Tuttavia, e non per obbligo ma per consapevolezza, parlando italiano potremmo tutti interrogarci sulle parole che usiamo. A maggior ragione potrebbe farlo chi ha ruoli pubblici e responsabilità più grandi.

Molti (spesso oscuri) termini inglesi che oggi inutilmente ricorrono nei discorsi della politica e nei messaggi dell’amministrazione pubblica, negli articoli e nei servizi giornalistici, nella comunicazione delle imprese hanno efficaci corrispondenti italiani. Perché non scegliere quelli? Perché, per esempio, dire “form” quando si può dire modulo, “jobs act” quando si può dire legge sul lavoro, “market share” quando si può dire quota di mercato?

Chiediamo all’Accademia della Crusca di farsi, forte del nostro sostegno, portavoce e autorevole testimone di questa istanza presso il Governo, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese. E di farlo ricordando alcune ragioni per cui scegliere termini italiani che esistono e sono in uso è una scelta virtuosa.
1) Adoperare parole italiane aiuta a farsi capire da tutti. Rende i discorsi più chiari ed efficaci. È un fatto di trasparenza e di democrazia.
2) Per il buon uso della lingua, esempi autorevoli e buone pratiche quotidiane sono più efficaci di qualsiasi prescrizione.
3) La nostra lingua è un valore. Studiata e amata nel mondo, è un potente strumento di promozione del nostro paese.
4) Essere bilingui è un vantaggio. Ma non significa infarcire di termini inglesi un discorso italiano, o viceversa. In un paese che parla poco le lingue straniere questa non è la soluzione, ma è parte del problema.
5) In itanglese è facile usare termini in modo goffo o scorretto, o a sproposito. O sbagliare nel pronunciarli. Chi parla come mangia parla meglio.
6) Da Dante a Galileo, da Leopardi a Fellini: la lingua italiana è la specifica forma in cui si articolano il nostro pensiero e la nostra creatività.
7) Se il nostro tessuto linguistico è robusto, tutelato e condiviso, quando serve può essere arricchito, e non lacerato, anche dall’inserzione di utili o evocativi termini non italiani.
8) L’italiano siamo tutti noi: gli italiani, forti della nostra identità, consapevoli delle nostre radici, aperti verso il mondo.
Se sei d’accordo firma, parlane, condividi in rete. E fallo adesso. Grazie!

Io ho firmato.

G. B.

Consumo di suolo

Suolo consumato in Italia negli anni ’50 del novecento? 178 mq pro capite: si cominciò a ricostruire il Paese.

Nel 2012, 369 mq di suolo consumato a testa: l’Italia è disfatta.

Negli anni dal 2009 al 2012 sono stati consumati 720 chilometri quadrati di suolo (potenzialmente) fertile: una superficie la cui area equivale alla somma delle aree dei comuni di Napoli, Milano, Bologna, Palermo e Firenze: geometria dello strazio.

Nello stesso periodo (2009 – 2012) il consumo di terra ha inibito l’assorbimento (da parte del suolo contestualmente cementificato) di 6 milioni di tonnellate di carbonio: come se avessimo emesso in atmosfera 21 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente (quella prodotta da 4 milioni di automobili).

Nel triennio in esame, inoltre, il territorio italiano ha perduto una capacità di ritenzione idrica pari a circa 270 milioni di tonnellate d’acqua: a ogni pioggia intensa avvertiamo tutti cosa questo significhi. Senza dire che nello stesso arco di tempo, sul territorio ormai disperso, non abbiamo coltivato cibo per 500.000 persone (mezzo milione di individui). I dati evocati sono ufficiali. Li ha resi noti l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Sono cifre temibili.

Il suolo è: fertilità, equilibrio idrologico, bilanciamento atmosferico, cibo; paesaggio, memoria, bellezza, qualità (totale) della nostra vita.

Cemento e asfalto stanno alterando il paesaggio nazionale, ne hanno ampiamente deteriorato la fisionomia, lo hanno parzialmente desertificato. Cemento e asfalto, febbrilmente promessi da politici sprovveduti, (se non bestialmente ignoranti, se non criminali, se non mafiosi), stanno deturpando la nostra terra, la terra dei nostri figli. Non c’è politico, o quasi, che non prometta nuove insensate opere pubbliche. Non c’è politico, o quasi, che dica chiaramente: da domani non si costruisce più nulla, non c’è più spazio per edificare.

Non possiamo più costruire. C’è già tutto. Abbiamo milioni di vani  vuoti, ovvero migliaia di appartamenti sfitti e colpevolmente inutilizzati. Abbiamo alberghi con vista mare e stanze vane anche d’estate. Abbiamo strade che intersecano altre strade che intersecano nuove strade al cui termine ci sono recenti strade senza intersezione. Abbiamo porticcioli turistici e porticcioli affaristici. Abbiamo quartieri che sembrano pollai. Abbiamo quartieri fieristici fatti accanto a zone industriali completamente improduttive. Abbiamo scuole nuove ma già vecchie al taglio del nastro. Abbiamo autostrade verso il nulla. Abbiamo nuovi complessi immersi nel verde a dieci minuti dalla prima radura di periferie desolate come chi ci deve abitare.

Non possiamo più togliere altro terreno ai boschi. Sarebbe come tagliare le nostre stesse radici.

G. B.

montagna e varie 078

Confidenza

Lo  hanno detto a te, è per te. Non lo hanno detto a te per dirlo ad altri. Se lo avessero voluto dire ad altri lo avrebbero fatto. Devono potersi fidare di te. Non di altri, per tuo tramite. Altrimenti lo avrebbero fatto senza dirti nulla. Mantieni la parola. Custodisci i segreti. Abbi cura delle parole di chi ti parla. Sussurra, non urlare. Parla piano, non gridare. Ascolta quanto più possibile. Dimezza i commenti. Interrompi il sortilegio dei pettegolezzi. Scegli la spiegazione più semplice e non quella più maliziosa. Aspetta prima di accusare. Cerca di dire la verità ma sempre con delicatezza. Chi brutalizza storpia il vero. Chi insulta offende perfino le migliori cause. Spezza la catena dell’odio, senza con ciò essere codardo. Soprattutto, rispetta chi ti offre le sue confidenze. Lo hanno detto a te. Lo ha detto a te. Abbi cura di quel che sai. Impara a meritare quel che pretendi di sapere.

G. B.