L’Uomo è, anatomo-biologicamente, un animale frugivoro-raccoglitore. Culturalmente, l’Uomo è onnivoro; all’occorrenza carnivoro; in casi estremi, può diventare antropofago!
L’Uomo ha molari forti: per spezzare, triturare, masticare lungamente senza con ciò ruminare. Ha canini poco sviluppati. Un intestino piuttosto lungo; non tanto lungo come quello degli erbivori, però.
L’Uomo ha la pelle dotata di pori, necessari alla sudorazione. L’Uomo ha un solo stomaco, piuttosto capace. L’Uomo non è un erbivoro, come sostengono i maliziosi quando si rivolgono a quelli che non mangiano carne. Non possiamo mangiare erba o cortecce. Siamo fatti per consumare frutta, tuberi, semi, verdure.
Grazie al fuoco e ad altre combinazioni cognitive (scoperte occasionali e invenzioni procurate dal nostro ingegno) abbiamo imparato a tirar fuori farine, e olii, da semi selvatici poi riprodotti con meticolosa sicurezza biologica.
Raccogliere, conservare, seminare; di nuovo raccogliere, conservare e impastare; e ancora raccogliere, conservare, cuocere-cucinare.
Ancor prima di diventare agricoltori, o contestualmente a un tale esordio, i nostri antenati presero ad elaborare tecniche di caccia essenziali a far loro assumere maggiori quantità di proteine, grassi, sali e vitamine: consumando insetti, piccoli animali, uova. Proteine facili da reperire in quasi tutti gli eco-sistemi terrestri.
La caccia ha rappresentato, per la nostra specie, una indiscutibile molla evolutiva. Scoperta per caso ma necessariamente (caso e necessità si assomigliano) ci ha permesso ulteriori scoperte. Caccia ha significato manipolazione digitale, sviluppo di tecniche, elaborazione di strumenti utili in vista di attività offensive e difensive: espansione territoriale, accumulazione di risorse, tutela del proprio spazio e altre forme “ragionate” di uso dell’aggressività innata.
Tecnologia e caccia: sviluppi dell’ingegno umano avvenuti nel medesimo contesto simbolico.
Dal momento che noi Umani siamo Natura e Cultura, ci siamo spinti ben oltre il mero bisogno di raccogliere frutta e tuberi. Abbiamo imparato a dominare tutta la scena terrestre.
Beviamo latte di altre specie. Un azzardo, sotto certi aspetti. Nessun toro beve latte di vacca, di pecora o di lupa. Le altre specie bevono solo il latte intra-specifico. Noi consumiamo latte inter-specifico. Non solo per carenze alimentari, durante l’infanzia; ma anche da giovani, da maturi, da vecchi.
I non pochi problemi legati a questo inspiegabile (se non ricorrendo a chiavi di lettura culturali) consumo alimentare, quello relativo al latte di altre specie in fasi d’età non adatte al consumo di un tale alimento, diventano facili da comprendere soltanto sotto una lente di osservazione oggettiva e naturalistica.
La Cultura è quel che ci permette di vivere al Polo, mangiando solo carne cruda (con tutti i problemi che ne derivano); nelle foreste pluviali; nel cuore dell’Africa equatoriale. Dove siamo, là inventiamo un cibo “naturale” per noi: corrispondente al caso, necessariamente, e alla necessità, guarda caso.
Resta il fatto che, da scimmie nude quali siamo, simili ai gorilla (vegetariani, salvo esigenze ed emergenze) più che ai lupi (veri carnivori), ci rendiamo capaci di qualsiasi scelta alimentare possibile.
Siamo carnivori? Non lo siamo. Il carnivoro ha intestino corto, per espellere il prima possibile gli scarti di alimenti evidentemente tossici e cancerogeni. Il carnivoro mastica appena; semmai lacera e ingolla, repentino e furtivo, il suo grasso boccone.
Il carnivoro non mangia altro che carne. Salvo i gattini di casa, educati a consumare pasta e rape, o i cani di strada, che ti implorano per un biscotto.
L’Uomo mangia quel che la Cultura gli detta; e, “naturalmente”, quel che Egli detta alla Cultura: mangia ciò che gli pare e gli piace; per convenienza, abitudini, pregiudizi, tabù, superstizioni, bibbie e filosofie; e pressioni ambientali.
Pitagora, non uno qualunque, non mangiava carne. Per la pietas nota anche a Plutarco, a Epicuro e ad altri ingegni filosofici, certo; ma anche per considerazioni igieniche rilevantissime.
Pitagora consigliava, inoltre, di astenersi dalle fave. Oggi ci è noto il perché più probabile di tale tabù alimentare. Abbiamo sentito parlare del favismo (molto diffuso nel bacino del Mediterraneo)? Ebbene, un individuo affetto da favismo, già solo a 200 metri da un campo di fave rischia uno choc anafilattico.
Il tabù pitagorico è così spiegato.
Logica, passione, sentimenti, idiosincrasie, turbe: il cibo dell’uomo non è solo cibo. Altro che foie gras, altrimenti. Altro che bevande dolci e piene di anidride carbonica, diversamente.
Un animalista convinto è (anche) un vegetariano rigoroso.
Dobbiamo tendere verso il vegetarianismo?
Con quali conseguenze culturali?
Non siamo più le scimmie che fummo. Abbiamo fatto scintillare due pietre per produrre un fuoco destinato a diventare elettricità. Eppure siamo gli stessi animali bipedi (con la medesima struttura anatomico-fisiologica) che fummo nella notte dei (nostri) tempi evolutivi.
Possiamo vantare una (poco credibile) condizione di superiorità su tutte le altre specie? Cosa siamo disposti ad abbandonare, progressivamente o definitivamente, per meglio convivere con le altre specie animali – e con noi stessi, probabilmente?
Domande da farsi a tavola…
Giovanni Bongo