In qualsiasi altro mo(n)do: a pedali?

Se fossimo tanti, ancor di più, molti altri ancora, di nuovo tanti; e poi ancora, ancora, ancora – fino ad essere moltitudini?

Perché non accade? Difficile? Impossibile? Tutta colpa della Politica? Tutta politica della Colpa?

Mancano le piste ciclabili, vero?

Però è una nostra responsabilità. Me la prendo prima coi cittadini e poi coi politici. I politici, quando chiedi una pista ciclabile, ti guardano come se gli avessi chiesto 50.000 euro in prestito. Poi cominciano con l’elenco: “da fuori sembra tutto facile, poi ci sono le difficoltà burocratiche, il patto di stabilità, la Provincia, gli espropri, il ruolo dell’opposizione, i progetti, gli oneri, il catasto, il demanio, il demonio… Tu fai tutto facile, tu non hai la responsabilità di amministrare”. Sì, bene: tutto già ascoltato!

Ma noi? Noi cittadini, che facciamo? Se è vero che la funzione sviluppa l’organo, allora mettiamo in funzione i nostri pedali obbligandoli (i politici) a fare piste ciclabili.

Non abbiamo piste? Facciamone sentire la mancanza noi, tutti i giorni, semplicemente. Come? Diventiamo migliaia.

Non facciamo pedalare solo qualche anziano, ragazzini cogli zaini, signore distinte con l’aria assorta, ecologisti tediosi.

Non facciamo pedalare solo anziani cresciuti a pane e poco – abituati a star sul duro, insomma.

Pedaliamo in decine, in centinaia, in migliaia. Facciamolo capire noi, ai Politici (Piloti) che ci vogliono le piste ciclabili: vere, belle, sicure, fiorite, che arrivino ovunque. Ovunque noi andremo, però. Perché non ovunque è possibile arrivare. Specie se noi non ci vogliamo andare davvero, in bicicletta o in qualsiasi altro mo(n)do.

G. B.

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Evoluzione della specie transitante?

Proviamoci. Raccontiamocelo. Diciamocelo. Su questo blog.

Oggi ho camminato. Oggi ho pedalato. Ho fatto questo, quello, senza la mia auto; senza la mia moto; senza petrolio, metano, gasolio, gpl.

Diciamoci esperienze. Diamo seguito alle nostre orme. Ai piedi. A quel che abbiamo visto. Col vento in faccia. Col sole in fronte. Con le mani in tasca. Tenendo un manubrio. Stringendo uno zaino.

G. B.

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Senza più plastica?

Sono 1293 i Comuni italiani impegnati nella raccolta differenziata spinta (vale a dire superiore al 65 %). Sono otto milioni i cittadini italiani direttamente coinvolti nell’esperienza di ridurre al minimo (con l’obiettivo di azzerarli) sprechi e sperperi. In discarica, o negli inceneritori, non dovrebbe finire nulla.

Molti dei nostri “rifiuti” sono fatti di plastica. La plastica è una vasta famiglia di materiali: duttili, pratici, comodi; per l’appunto, plastici. La produzione, il consumo e lo smaltimento delle plastiche sono complessi. In linea teorica dovremmo arrivare al superamento definitivo dell’uso delle plastiche in tempi brevi, così da eliminare dalle nostre esistenze questo affascinante, eppure rischiosissimo, complesso di materiali.

Le alternative ci sono già. In questione, tuttavia, non è solo l’uso di un materiale, ma il concepimento di una attitudine. Si introducano pure le plastiche vegetali, quelle che un giorno useremo con leggerezza di spirito; il punto è che forse dovremmo deciderci a superare del tutto l’estetica dell’usa e getta, dell’accumulo di oggetti inutili, del feticismo consumistico in forza del quale ci sentiamo appagati.

Potremmo tentare di porre in essere un’est-etica della frugalità e del contenimento dei consumi. Per quanto “farsi la plastica” sia assai più seducente, disfarsene sarebbe di gran lunga più appagante.

G. B.

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