Lento, veloce, annunciato e imprevedibile. Così sarà. Si chiama: #dillocoifiori: il primo “flash mob slow” del Salento tutto, anche se avviene nel lembo più meridionale, ed orientale, del Tacco d’Italia.
Dal cuore di un paese piccolo (piazza Castello) fino alla sua Torre sul Mare: Torre Nasparo.
Il giorno 21 marzo dell’anno 2015, a Tiggiano, Salento, Italia, Puglia, Provincia di Lecce, Pianeta Terra: dillo coi fiori.
Nella terra di Mare Sole Vento come vuole la retorica. Nella terra di giovani che vanno – e spesso non tornano. Nella terra di giovani che ci stanno – e quasi mai vanno. Nella terra di giovani che vanno e tornano – e qui fanno innovazione; e si danno da fare.
Per la soluzione dei problemi del Sud ci sono molti che parlano. Invece qui lo si dice con i fiori. Si fa appello agli artisti (gli apolidi per eccellenza) affinché mettano radici qui, adottando un paesino dopo l’altro, per fare cultura dove c’è desiderio di tutto.
Desiderio di stelle assenti. Non vogliono star ma vere stelle pronte ad essere radicali.
Non radicali a parole: non con urla da palcoscenico e arringhe da concerto pagato caro. Radicali veri, di quelli che mettono radici. Seppure delicate come fili d’erba. Seppure delicate come radici di fiori.
Mettine 100 e 200, di individui: tutti a pedalare e a portarsi dietro un fiore.
Che peso ha, un fiore? Metti fiori ovunque puoi. Fai fiorire una Torre antica, che se ne sta là a guardare la sua storia dritto negli occhi di pietra che ha. Dove c’è strada, oggi, c’erano solo pietre.
Passavano, quanti passavano, qui. Pellegrini, pastori, aggressori saraceni.
Oh, quando c’è tramontana e vedi i monti d’Albania ti sale dentro un mare nostalgico. Chiudi gli occhi, li chiudi, e vedi tutto come è stato quando tu non c’eri. E naufraghi, sì, in questo mare. E ti scuote l’anima, il vento, come se l’anima tua fosse quercia sui monti.
Con calma, il 21 marzo dell’anno 2015, partendo alle 15.00 per arrivare alle 16.00; e per piantar fiori, suonare, danzare e fare l’arte che si sa. Senza fretta.
Flash mob. Come nelle città che contano ma in un paese che non sa ancora di poter contare. Su di sé. Su chi l’abita. Su chi è stanco di non fare nulla e su chi è stanco del poco che si fa: per la cultura, per la terra, per le bici, per i fiori, per l’arte. Per i giovani. Per i vecchi.
Per mettere insieme le cose che hanno senso insieme. Per liberarsi di quello che fa male: accidia, invidia, pettegolezzo, silenzio degli innocenti, parole dei prepotenti e luoghi comuni affini.
Come dichiara Francesco Melcarne, uno dei promotori: luogo, improvvisazione, naturalezza, socialità, integrazione generazionale. Non un raduno come folla. Tranquillità. Scambio in tutti i sensi.
Semplice, rapido, lento, flash, slow: mobilitazione iniziale. Con un fiore, che darà frutto. Quanto di più gentile ci possa essere – prima che tutto diventi come ci piacerebbe che fosse. Se non tutto, almeno quello che dipende da noi.
G. B.
‘Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.’
Non ci sarò il 21 marzo. Ma dedicherò alle menti creative del mio Paese la pedalata di quel giorno.
Non aspettatemi per partire: io raggiungerò qui, un punto favorevole, un angolo di verde, da cui guardare verso voi, verso la Torre, simbolo di un Paese che non cede.
Non saranno i miei fiori ad arricchire lo scenario, ma ogni fiore che colora l’angolo della mia veranda, corrisponderà ad un pensiero per voi.
Per chi ha avuto questa bellissima idea, per chi ci ha creduto.
Per chi non si arrende e pensa al suo Paese come ad un giardino di cui prendersi cura, affinché ogni fiore, ogni pianta, ogni filo d’erba che lo completa, abbia ciò che è necessario per crescere e fortificarsi.
Non sarò tra voi il 21 marzo. Ma il mio pensiero sarà per voi e per la Primavera che accoglierete e che porterete.
Un Paese ci vuole, si. Per sapere che quello che io non sarei stata in grado di fare, lo sta facendo chi sempre ci mette l’anima.
Per sentire che casa è lì dove abiti, dove trascorri le tue giornate, dove lavori, dove porti avanti le tue passioni… ma è anche lì dove sei cresciuto: dove hai imparato che le aiuole non si calpestano, le piante non si sciupano e i fiori non si strappano. Dove hai imparato che, pur se di un’altezza significativa, un albero, vive delle sue radici e di ciò che queste gli rendono per avanzare sempre più in alto.
E lì dove, giovani intelligenti e intraprendenti si impegnano per un bene destinato a tutti.
Un Paese ci vuole. Per pensarlo. E per saperlo in buone mani.
E ve lo dico con Amaryllis, il fiore simbolo della FIEREZZA: siete GRANDI!!
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Sì, è probabile che ci voglia un Paese, un paese, una comunità. Anzi, è certo. Co vuole una comunità attorno a noi. Ci vogliono idee coraggiose; o forse soltanto idee. La semplicità è radicale. Le radici sono semplici, pur nella loro complessità.
Non sarai nel tuo paese? Nessuno è presente ovunque, sempre; ma ha la possibilità di pensarsi, di pensare gli altri, di pensare agli altri. Di dirlo. Di farlo presente. Di farsi presente.
Farsi avanti, spesso, è farsi presenti.
Grazie, Deborah. 0krisis serve anche ad amplificare le esperienze dei territori.
G. B.
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