Narcisi?

Siamo Narciso sul labbro della sua stessa bocca? Ci guardiamo nello specchio di un tremante vetro lacustre?

Ebbene, noi siamo sempre e solo per lo sguardo dell’Altro, degli altri; di un misterioso Altro.

C’è però una misura da concordare. La misura dello sguardo, lo sguardo misurato. Non si allude all’occhio critico, che sempre stima e valuta e giudica.

Si allude allo sguardo che sa distogliersi da sé, pudico e solerte.

Narcisisti di tutto il Mondo, uniamoci. Guardiamoci pure. Specchiamoci ancora. Complimentiamoci di cuore ed elogiamoci con pienezza di intenzioni. Rileggiamoci e facciamoci vedere. Sì, è cosa buona.

Ricordiamo però la differenza, modesta ma essenziale, tra l’essere nel solo apparire e l’apparire nel pieno dell”essere chi siamo. Facciamo di quel che mostriamo il fiorire di chi siamo davvero. Altrimenti tutto è solo apparenza. Altrimenti tutto è niente.

G. B.

Camminare 3

Per partire, camminare, ci vuole rabbia. Frédéric Gros

Il peccato, quello sì, è un inciampo. Si incontra un granello, rovinoso per la nostra incauta andatura. Instabili siamo da sempre. Perché abbiamo perduto la coda che giustificava la nostra essenza animale, dunque la nostra anima.

Poi c’è peccato e peccato. Imperdonabili, nella nostra liberale società, sono tutti i peccati del corpo desiderante: il sesso, in primo luogo. C’è chi ruba; non gli si dà credito ma neppure gli si addebita molta pena.

Il corpo imperdonabile, e nello stesso tempo il più ambito, è il corpo del desiderio sfrenato e lussurioso. Non altro corpo, se non quello.

Mentre cammino m’assale il dubbio che non abbiamo abbastanza spazio per tutto il corpo che siamo; nel tempo. Muovendosi, muovendoci, appare chiaro che siamo fatti per deambulare, certo, ma non come mera condizione aggiuntiva della nostra specie; semmai come condizione costitutiva del nostro essere nel mondo. Non possiamo non camminare; non possiamo non amare; non possiamo non desiderare e non peccare di desiderio smodato.

Lo zaino preme sulle spalle. A un tratto si sente nella schiena, quasi al centro di questa parete solidale con gli arti, la centralità del peso sopportato sulle spalle, come se le spalle fossero ali contenute e prive di spinta.

I piedi non sanno neppure più a chi appartenga il respiro; anzi, danno respiro al corpo con quel loro movimento regolatore, circolare, uniforme pure nell’attrito.

Non si concede mai abbastanza cura ai propri piedi; non sono quasi mai oggetto di desiderio, se non per gli artisti e i poeti, che ne fanno base per le loro opere. Il desiderio, spesso, è nei piedi. Si raggruma là, si disperde come energia abbandonata all’entropia del caso. Camminare stanca. Anche vivere come non si è stanca.

La stanchezza non è tutta uguale; il sudore di chi corre in pieno giorno, d’estate, ha un che di glorioso. Non quello del venditore di mille cose in spiaggia. Il suo procedere è lento, affaticato, dolente. Ha una sua solennità grottesca, fuori luogo.

Chi cammina per cercare pane è meno propenso a lodare i suoi passi. Per tutti gli altri, andare è una sorta di liberazione dall’ovvio.

Gli uni e gli altri, camminando, confermano che la nostra vera natura è stata piegata dalla strana civiltà che abbiamo fondato sulle ceneri della nostra dimenticanza del cuore che ci batte in petto.

Cammina, anche oggi…

G. B.

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