Senza Sangue?

Almeno una volta la settimana. Poi due. Tre. Fino a sei. Magari fino a sette. Si può provare a non mangiare carne. Senza essere vegetariani, oppure diventando vegetariani.

Mangiare carne significa, il più delle volte, cibarsi di animali morti male dopo aver vissuto peggio. Senza equilibrio tra ragioni del vivere e motivi della umana sopravvivenza.

Non esistono quasi più maiali uccisi per una intera comunità e allevati con una qualche forma di decoroso rispetto. Non esistono galline consumate in brodo e morte (quasi) di vecchiaia.

Gli “animali da carne”, oggi presenti in lucide vetrinette di macellerie industriali, sono meri pezzi di carne concepiti per il loro esclusivo fine commerciale: consumo finale.

Pezzi fin dalla nascita, tali animali (la parola, si badi, contiene l’anima) sono “cosificati”: fatti a pezzi già in fase di progettazione.

Esistono filetti, costate, costatine: non esseri senzienti con un respiro e un comportamento. Non mangiano nel prato, tali animali. Non razzolano nell’aia.

Sottoposti a cure ingrassanti violente e tossiche, essi finiscono nelle nostre pentole con un implicito (ed enorme) carico di dolore, antibiotici, ormoni della crescita, pesticidi (presenti nel loro cibo), tossine da stress, violenza.

Così è per la strage di Pasqua. Non agnelli uccisi da pastori saggi, capaci di distinguere il momento della crudeltà da quello della pietà. Semmai animali carcassa allevati chissà dove e uccisi in serie, per soddisfare palati incapaci di distinguere sapori forti (ma veri) da sapori standard, dunque falsati.

C’è da pensarci, senza inutili assilli colpevolizzanti: con coscienza vigile, con serena consapevolezza. Meno carne vuol dire: meno emissioni di  gas serra, meno acqua consumata in allevamenti industriali, meno sperequazioni alimentari e ingiustizie sociali, meno violenza.

G. B.

Agnello pasquale in pasta di mandorle. Tipica prelibatezza leccese. Foto e dolce a cura di Angela Esposito, che ringraziamo per il contributo.

Agnello pasquale in pasta di mandorle. Tipica prelibatezza leccese.
Foto e dolce a cura di Angela Esposito, che ringraziamo per il contributo.

Alzati

Dunque è accaduto. Qualcuno pare sia risorto. Qualcuno è altro da sé. Qualcuno è cambiato. Qualcuno ha salutato la sua fine e ha conosciuto un nuovo inizio.

Qualcuno sei tu. Puoi farlo. Puoi cambiare. Puoi lasciare alle tue spalle le spalle dei tuoi propositi perduti. Guardando in pieno volto il tuo concreto divenire.

Questo è vivere. Vivere è questo; vivere. Non sognare, soltanto sognare, la vita non avuta. Non solo commentare il saluto non voluto. Quante perdite, quante sconfitte, quante cadute.

Alzati e cammina. Alziamoci e camminiamo. Cosa si salverà? La nostra contraddittoria presenza. Il fatto di proseguire con un verso. Il fatto di prenderla dal verso migliore. Il fatto di vedere fiori tra le rocce, germogli tra i sassi, piantine oltre i muri.

C’è chi ancora vive tra riserve di rifiuti lasciati a marcire nel cuore di terre maledette dalla ricchezza. Ci sono bambini dannati dal primo istante. Ci sono madri senza più sangue né lacrime. Ci sono padri incapaci di portare a casa un litro di latte.

Combatti, donna. Combatti, uomo. Senza armi. Senza insulti. Senza più dare fiducia a incantatori di serpenti di vetro.

Esci di casa, oggi, con o senza pioggia. Porta a qualcuno qualcosa. Porta una piantina. Porta una pagnotta. Porta un sorriso.

Alzati, non per la Pasqua, non per la domenica. Per la vita.

Alzati e combatti. Il Mondo vuole un cambiamento. Sii tu quel cambiamento.

G. B.

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