La strage

Centosettanta miliardi. Tanti sono gli animali uccisi ogni anno, nel Mondo, a scopo alimentare.

170.000.000.000: 14 miliardi ogni mese, oltre 300.000 ogni 60 secondi.

Per soddisfare una simile domanda di carne, l’industria zootecnica (che non è più un’attività naturale legata ai cicli terrestri), impegna il 30% di tutte le terre coltivabili (Poli e ghiacciai esclusi) e il 70% di tutte le terre agricole disponibili.

Si tratta di terreni sottratti alla coltivazione di cereali, legumi, verdure e ortaggi; si tratta di terreni fortemente contaminati da fertilizzanti e anticrittogamici; si tratta di terreni spesso deforestati e disboscati e, infine, resi spogli, aridi, polverosi.

Si tratta di animali avvelenati da antibiotici e ormoni della crescita, tossine da stress e diossine.

Possiamo mangiare meno carne? Dobbiamo.

E possiamo consumare più legumi e cereali, ridurre il consumo di proteine di origine animale, tornare a praticare con frugalità e piacere la “dieta mediterranea”, riconosciuta quale patrimonio mondiale dell’umanità per le sue indiscusse qualità salutistiche, culturali, paesaggistiche.

Fare i conti, a tavola, può essere di una qualche utilità.

G. B.

Foto: Giovanni Bongo

Foto: Giovanni Bongo

Camminare 7

Infatti bisogna ridurre il più possibile. Frédéric Gros

Fa male ammetterlo; che meritiamo altro, di più, quello che non ci concediamo perché non ci viene concesso.

Fa male ammetterlo, specie se abituati ad essere qualcosa (quante cose?) per qualcuno (per quanti altri?) fino a dimenticare di essere qualcuno per NOI; e con quali esiti inesatti.

C’è una particolare forma di egoismo, in chi ci ama: pretende di conoscerci meglio di noi. E nella fedeltà che ci chiede dimentica la fedeltà che dovremmo dare in primo luogo a noi stessi, ovvero alla nostra vera natura.

Camminando, fatalmente, tutto ci appare chiaro. Che non siamo solo splendidi compagni di vita, solidali compagne di vita. Che non siamo solo amorevoli padri, amorevoli madri. Che non possiamo essere solo quello che hanno bisogno di trovare in noi.

Chi si mette in marcia, sovente, lo fa spinto da un’urgenza remota, che neppure riesce a spiegare. Parte e basta, cammina, come inseguito, come ossessionato, come sospinto da una energia molesta e dolorosa: è il rimpianto che parla.

Alla sera, contemplando i piedi affaticati, piagati, feriti, ci si avvede di quanto peso si è sopportato durante la marcia; di quanti pesi si sono sopportati per una vita; di quanti inconsistenti e gravosi pesi ci si è caricati per anni. Inutilmente.

La prima cosa da fare è la seguente: abbandonare il fardello della inutile e oppressiva colpa che ci affligge. Siamo chi siamo e non ci resta che farcene motivo di serenità.

Siamo chi siamo; possiamo solo migliorare chi siamo, perfino le parti peggiori, in vista di chi vogliamo diventare, secondo noi.

G. B. 

Foto: Giovanni Bongo

Foto: Giovanni Bongo