Conta quando ci sei; conta quanto ci sei.
Improvvisa ti appare la memoria e il suon di lei; rapida è la consapevolezza di non potere più. Eppure, quando avresti potuto dire non lo hai detto. Eppure, quanto avresti potuto apprezzare che eri là e che c’era, c’erano. Con te.
Resta del tempo sulle cose del mondo. In forma di sabbia. Come granelli mossi e in apparenza sempre uguali, fermi, sostanziali.
Apprezzare ogni istante non è un cavillo da meditazione orientale. Semplicemente, siamo noi stessi solo negli istanti. Negli attimi che ci danno l’illusoria percezione della continuità.
A distanza di tempo (ché il tempo è una unità di misura) tutto appare qual è: fragile. Meraviglioso e fragile.
La pizza impastata di notte per l’indomani è un atto di cortesia verso il domani. Verso l’irripetibile gioia di farsi sfiorare dagli occhi meravigliati di un figlio: uno sguardo che non conosce sfide o paragoni di bellezza.
Ah, se la meraviglia filosofica fosse qualcosa da non portarsi a casa con un buon (futile) voto da vantare con amici e zie.
Ah, se comprendessimo dai poeti che davvero ogni istante va carpito.
La stabilità del mondo è una illusione. Non crucciartene, tu che leggi. Non è così male. Si tratta di vita. Vita che va perché, forse, non potrebbe andare altrimenti.
Soltanto chi, circondato dal cemento, e’ diventato di cemento pensa che su questa Terra esista stabilita’!
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Ti rispondo con Galileo Galilei, dunque, ricordando che “eppur si muove”!
Si muove la vita, si muove.
Grazie.
G. B.
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