Abitudine?

Abituarsi a qualcosa è pericoloso; perfino abituarsi alla gioia. Se ci fosse spazio per un sentimento indispensabile, quel sentimento dovrebbe essere la sorpresa, una sorta di stupefatta innocenza che ci permette di apprezzare ogni cosa, ogni giorno, sempre.

Non dico l’innocenza di chi non ha colpa o di chi è perfetto.

Alluso alla possibilità di percepire con purezza perfino quello che ci disturba. L’educazione, in genere, si occupa di come camuffare le idee e i concetti, rendendo arduo quel che dovrebbe essere semplice: non perché sia complesso in sé, ma perché l’onestà fa male ed è rivoluzionaria.

Ecco, la rivoluzione è non abituarsi mai a nulla, né a Manzoni, né alle equazioni, né alla sociologia, né a quelli che diciamo di amare.

G. B.

(IntegralMente  Pacifismo, comunicazione efficace e giochi formativi, Ed Insieme, Terlizzi, Bari, 2003)

Foto: G. B.

Foto: G. B.

Morale della favola

Siamo sicuri? Siamo sicuri che chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non sa quel che trova?

Siamo sicuri che è meglio la formica della cicala?

Siamo sicuri che tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino?

Siamo sicuri? Di cosa siamo sicuri?

Lascia la via vecchia. Lasciala. E faticherai il triplo. Tutto, però, avrà un senso per te. Tu potrai dire di aver provato, tentato, osato, visto, vissuto, compreso, chiarito, esperito, saggiato, manifestato. Da un prospettiva differente; soprattutto, da una prospettiva solo tua.

La formica? Lavora, accumula, mette da parte, tiene conto, tiene i conti, risparmia. Per chi? In nome di cosa? La sua non è sobrietà ecologica, forse è solo paura; forse è avarizia; forse è prudenza. Forse è incapacità di canto. Forse diventerà tardivo rimpianto.

La gatta perde il pelo, come il lupo, se non mangia abbastanza. Se non osa. Se non rischia lo zampino. Rischia la fame se non osa carpire il suo pasto.

Un giorno da leoni significa combattere o lasciare tutto il peso alla leonessa, che porta a casa il cibo e alleva i cuccioli?

Il cuore del leone può diventare sordo al richiamo degli altri. Non è sorda al richiamo degli altri la pecora, pacifica nel suo gruppo ma forse passiva nel suo lento ruminare temendo di imbattersi nel lupo fiero e selvaggio.

Per tutto v’è posto, in realtà. La realtà è il posto in cui tutto trova posto: ci piaccia o no.  Anche per le morali, per i luoghi comuni, per i giorni trascorsi a sistemare le proprie cose ripetendosi consolatorie (talvolta bellissime) storielle, v’è un momento e un posto.

Allora è il caso di celebrare la propria morale, il proprio sentimento, la propria nascita: diventando unicamente quel che vogliamo essere. Ad una sola condizione: di non essere, noi, l’impedimento ad altri. Di non ostacolare gli altri; di non oltraggiare la loro unicità.

Saremo così cicale e formiche; talvolta leoni e altre volte pecore. Saremo gatte, lupi, volpi. Saremo Ulivi. Saremo vento e tempesta. Saremo zefiri e onde fragorose. Saremo lievi increspature del mare e stelle notturne. Saremo querce scosse da venti marini e monti addormentati al chiaro di una luna sempre viaggiante. Saremo stagioni, la presente e viva, e il suono dei nostri canti erranti e inesplorati. Saremo nascita. Saremo di nuovo nascita.

Non chiedere a uno “chi sei”? Potrebbe non saperlo. Potrà forse dirti chi è stato, chi era. Piuttosto chiedi a uno “chi vuoi diventare”? Ed egli proverà a dirtelo; e dicendotelo potrà provare ad esserlo.

Essere è tempo. Sì, questo è vero: essere è tempo. Per fare essere, tuttavia, è importante chiedere di essere: a sé, agli altri.

Giovanni Bongo

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