L’oggetto nuovo, nuovissimo, costoso, costosissimo, durerà poco; sarà superato tra breve, da un oggetto simile, progettato ben prima che fosse lanciato sul mercato l’apparecchio “precedente”, ma nei fatti successivo.
Progetto A e lancio B.
B precede A ma è successivo ad A.
I consumatori si affretteranno a volere il modello 6, già pronti ad acquistare il modello 7; sognano il modello 8; fantasticando sul modello 9; prefigurando il modello 10. Le industrie, intanto, sono già al lavoro sul modello 11.
L’importante è (far) comprare. In un mondo delle merci ad alta obsolescenza e a bassa fedeltà.
Alta obsolescenza: la lavatrice deve durare non più di 5.6 anni – contro i 9 anni di appena dieci anni fa.
Rammento il mio primo televisore a colori. Dell’anno 1978. Ancora valido nel 2001 e donato, ben funzionante, per via di un trasloco da regione a regione. Ricordo di aver usato per 23 anni lo stesso apparecchio televisivo.
Riparare; correre ai ripari; ripararsi. V’è qualcosa di protettivo nel riparare, nel ripararsi, nel correre ai ripari. Ci si ripara dalla pioggia. Si ripara un giocattolo amato. Si corre ai ripari dopo una lite.
Oggi no. Non si corre ai ripari. Non ci si ripara neppure. Non si ripara. Così ci viene suggerito. Sempre più persone, però, riparano. Vogliono riparare, correre ai ripari, recuperare usi, funzioni, materiali.
Produciamo, ogni anno, circa 20 kg di rifiuti elettronici a testa. Rifiuti non sempre correttamente smaltiti e recuperati. Preziosi. Ricchi di materie prime ormai rare, costose, difficilmente estraibili e non rinnovabili: come rame, nichel, palladio.
Corriamo ai ripari.
G. B.