Star seduti il meno possibile; non fidarsi dei pensieri che non sono nati all’aria aperta e in movimento. F. Nietzsche
Un’ultima fonte di energia, dopo il cuore e la terra, viene dai paesaggi. Essi chiamano, convocano il camminatore: egli è a casa sua, e le colline, i colori, gli alberi lo sostengono. Frédéric Gros
Mentre cammino ne penso tante; non tutte logiche, non tutte pulite. Soprattutto, mentre cammino mi viene spesso voglia di polemizzare con gli assenti (si è spesso soli, camminando, non per altro) e di dirle a tutti, proprio a tutti, con la dovuta forza e la giusta fermezza.
Ah, per cominciare vorrei dirne due a certi miei vecchi “educatori” perduti, di quelli che etimologicamente (le parole sono le cose) avrebbero dovuto tirare fuori il meglio da me ma sono finiti (invariabilmente?) col trarre il peggio da loro stessi.
Gli educatori, sì, specie scolastici, che trovavano assurda ogni posizione inusuale assunta dai loro allievi: in realtà cercavano solo dei ripetitori fedeli (e un tanto idioti) delle loro verità impacchettate. Quanto li ho patiti, io che pensavo continuamente a cose del tutto irrispettose della morale e della unidimensionale verità sancita dal Ministero. Per non dire del mio irrequieto essere un corpo pieno di vigore, straziato dal raccoglimento (sovente protettivo) che assumevo dietro a quel banco irrimediabilmente sporco…
Cammino, mi viene in mente ogni possibile soluzione a consolidati (e considerevoli) problemi umani. Possibile che non ci abbiano ancora pensato? A far cosa? A fare diversamente ogni cosa, dico ogni cosa. Tutto mi appare così chiaro, mentre cammino.
A un tratto avverto che non sto solo camminando, sto dimenticando di farlo. Totalmente preso dal vortice delle mie emozioni; scosso dal mio fluttuante pensiero verbale. Allora mi dico che no, devo (voglio) tornare nella mia esperienza; voglio tornare nel mio corpo.
Osservo il paesaggio. L’importanza del paesaggio, per chi cammina, è cruciale. Altro è procedere (a piedi) lungo un tratto autostradale (non che non abbiano fascino, certe opere dell’Uomo), altro è procedere fiancheggiando un ruscello.
Preferisco i ruscelli. Mi accorgo, mentre incedo, che è così difficile, per me (solo per me?), restare nel momento presente, osservare quel che vedo, ricevere l’impressionante quantità di dettagli presenti in Natura. Mi vien più facile ancorarmi ad un pensiero, quasi fosse un filo buono per ritrovare il nesso con il me stesso di sempre, e “meditare” tutto il tempo; anzi, non meditare, bensì lasciarmi assorbire dalla mia (solita?) mente.
Torno agli occhi: osserva, mi dico, guarda, posa gli occhi su quello che c’è, respira, apprezza i profumi, ascolta gli uccelli; abbandona, una buona volta, i tuoi ricordi peggiori, le tue memorie migliori; insomma, l’intero tuo passato. Sei qui, cammina.
Cammina e osserva, annusa l’aria, come un buon lupo, ascolta il verso del vento; ascolta.
Mi dico così.
Camminare significa vivere due vite: la presente e viva; e l’altra, quella già vissuta; e poi se ne insinua una terza, la vita immaginaria (immaginata) in cui ogni cosa storta trova finalmente il suo dritto.
Ecco, nella fantasia ti viene riconosciuto quel che ti devono; hai giustizia; pubblichi il romanzo; diventi il filosofo di riferimento di quella associazione o di quell’ente. Il merito conosce la sua ricompensa.
No, stai solo camminando. Dunque fantastichi. E continuerai a camminare…
Cammino. La gioia più grande, infine, è poter esclamare, per qualche ora o giorno o settimana: and now I walk, into the wild. Lo ha detto, grosso modo così, un amico che neppure hai conosciuto. A te sembra di non poterlo dire in maniera migliore.
G. B.