Islandese: (…) e mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de’ tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza (…)
Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità (…)
G. Leopardi
Così è questa vita; poggia sulla fermezza del transito, sull’incertezza dell’essere, sulla indeterminatezza quantità del non sapere che ne sarà di noi, da oggi a un incerto istante futuro; certi che, un futuro di un qualsiasi tipo, ci sarà. E non v’è tragedia alcuna che non spinga a chiedersene il senso; e non v’è senso che non spinga a domandarsene la ragione; e non vi sono ragioni, alle volte, ma solo cieco caso e rude realtà.
Noi siamo qui, siamo questo, esposti alla fortunosa forza delle cose, tanto ammirevoli e patetici, nel nostro desiderio di prevedere tutto e nel nostro vulnerabile desiderio di preservazione.
Tutto, infine, viene consumato dal tempo, dagli elementi, dalla forza impietosa della Natura. Tutto volge al proprio imprevisto compimento.
Viene solo da chiedersi, allora, che senso abbia rendere più difficile la vita propria e l’altrui; che senso abbia la violenza di uomini contro altri uomini; che senso abbia accanirsi per un soldo in più; che senso abbiano smanie di Potere e Potenti; se infine basta un istante perché tutto cessi d’incanto.
Siamo solidali, Oppure restiamo fermi. Smettiamola solo di smaniare come ossessi per tutto e per nulla. Semmai, badiamo alla vita. Curiamo la vita. Godiamo del preciso istante in cui abbiamo luogo…
Giovanni Bongo
“Vanitas vanitatum et omnia vanitas”
“Vanità delle vanità, tutto è vanità”
Qohelet
Vanità intesa come soffio, come ombra che sfugge, che fugge. Esistenze che accadono, passano. Vanità intesa come l’attimo fuggente: l’attimo non previsto, che sorprende e sorprendendo, paralizza. E così, forse, la si vede ripassare davanti agli occhi la propria vita, la propria vanità. Come la pellicola di un film che si srotola tra le mani di non si sa chi, innumerevoli pellicole che si srotolano, si smembrano, si disperdono nell’infinito di una vanità che ingoia, distrugge ciò che lei stessa ha partorito. Tutto è soffio. Ma un bambino, non lo capisce. Una bambina, non lo percepisce che il proprio soffio s’è schiantato contro una realtà imprevista, svanendo. E tutto finisce, tutto cessa di respirare, di muoversi, di provvedere al procedere di una vita che non sapeva di essere soffio mentre ai polmoni chiedeva aria per soffiare sulle candeline di quell’ultimo compleanno. Eppure. Eppure, come un soffio, passa. Si dilegua.
Mi chiedo se la Terra conservi il ricordo dei Bambini e delle Bambine che l’hanno calpestata, che ci hanno saltato e corso, che ci hanno sbattuto i piedi protestando per un gelato. Perché per un gelato, i bambini dovrebbero disperarsi. Per un gelato, i bambini dovrebbero richiamare l’attenzione del loro papà e della loro mamma e non per cercare di riportarli in vita. Sperando che quel soffio cambi rotta e torni indietro.
I bambini non lo sanno che tutto è vanità. Che un attimo di amore ha deciso che loro fossero, istanti di dolore hanno permesso che loro esistessero e che un momento, (solo uno? possibile?), basti affinché tutto termini. Senza neanche un preavviso.
E scivola, tutto scivola. Mentre gli idioti ammazzano. Mentre altri bambini vengono educati all’odio e altre bambine consegnate come premio a chi ha odiato di più. Mentre si investe tempo, denaro ed esistenze per promuovere la guerra, la distruzione, la morte.
Mentre tutto passa. Un altro tutto è già passato.
Tutto è vanità. Tutto è soffio. Anche le dita che battono sulle lettere della tastiera, sono soffio. E non pretendono di spiegare, di motivare, non chiedono e non rispondono.
Perché “risposta non c’è, o forse, chi lo sa: caduta nel vento sarà”, diceva. La risposta è nella domanda che non si ha il tempo di porre. La risposta è nella Terra che dà e toglie, con la stessa spudoratezza. La risposta è nel vento, nel soffio che non soffia più. Perché di candeline da spegnere, non se ne scorgono.
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La risposta è nel senso che reperiamo ad ogni istante; si situa proprio nelle pieghe dell’essere che riescono ad essere mentre sono. Forse. Oppure tutto è solo letteratura; resta da vivere.
Grazie.
G. B.
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