Il corpo dell’uomo è sacro e il corpo della donna è sacro, non importa chi sia… Walt Whitman
Sì, lo so fare. Lo posso fare. So farlo perché posso. Posso perché so farlo. Non so cosa implichi cosa, se il potere o il saperlo fare. Non so cosa, necessariamente. Non so quale sia l’ineludibile condizione di partenza. Quale la condizione necessaria perché qualcosa avvenga.
Penso a chi non può. Immagino chi non può. Ipotizzo come si possa sentire chi non può. Penso anche a chi, per accidia, accidenti, non vuole. Provo stizza. Non posso fare altro che dare l’esempio, però, e poco altro posso fare.
Chi non cammina, perché non vuole, adduce molteplici, assolutorie, motivazioni: non ne ho il tempo, beato te. Io lavoro tutto il giorno. Non ho tempo da perdere, Io. Io a mala pena riesco a sistemare quattro cose a casa, dopo l’ufficio, Io. Io devo andare in ufficio, Io, ed è lontano. Magari potessi, Io, non me lo lascerei dire due volte, Io.
Chi non può camminare ti osserva. Se ne sta seduto di là dal vetro, mentre gocce di pioggia solcano i suoi pensieri trasparenti come cristalli autunnali.
D’estate siede all’ombra di un grande ombrellone senza colori, nell’angolo tranquillo di una spiaggia piena di voci rapide e squillanti.
Chi non può camminare viene sospinto da una madre che sembra la Madonna ma è solo una buona madre; oppure da un amico fedele come un cane. Chi non può camminare darebbe tutti i suoi giorni, pur di correre una sola volta.
Chi non vuole camminare frena forte per dirti che ha una bella auto sotto i glutei fiacchi. Chi non vuole camminare va in palestra, in suv, e poi sale sul tappeto, ci sta sopra 35 minuti, e a fine giornata ti racconta che ha camminato.
Chi non può camminare è giocoso, nella comitiva che qualcuno guarda con un misto di pietà e sottile nausea, al ristorante o in spiaggia. La sedia a rotelle ancora suscita orrore, in chi sta seduto sul sedile in pelle di una macchina da 50.000 euro. Del resto, c’è sedia e sedile, e che cavolo!
Chi non vuole camminare ha lo studio privato e ci passa 20 ore ogni giorno: sembra dirlo con l’orgoglio di chi ti scruta per farti notare che sei tu, camminatore, che non hai proprio un cappero da fare.
Altro che camminate, e quando lavori?
Chi non può camminare l’ha fatto magari di giorno, fino a una certa età, prima che la malattia cominciasse a mangiargli tutti i muscoli, lasciandolo solo con gli occhi vigili e tanta forza nella sola testa ormai immobile.
Chi non cammina, perché non può farlo, non capisce a fondo chi non cammina, perché non vuole farlo.
Lo zaino di chi cammina, se pensa a chi non può farlo, diventa una riserva di potenza; lo zaino di chi cammina, se pensa a chi non vuole farlo, diventa una riserva di rabbia.
Potenza e rabbia: servono a camminare. Devono camminare. Per cambiare, cambiare, cambiare occorrono potenza e rabbia.
Non sapendo a chi dirlo, certe volte, lo lasci scritto per terra nel calco dei piedi che fai pesanti a bella posta, per lasciare sul suolo una traccia di te, per marchiarlo col fuoco della tua presenza.
Il corpo è sacro, lo sai. Sacro è il corpo usato finché c’è energia. Perché un corpo che non usa se stesso, e non osa, è un corpo che non saluta la vita ogni santo istante di ogni santo giorno. Un corpo pigro offende la sacra vita.
Sacra perché vive e non perché si debba andare a celebrarla in chiesa, con l’auto domenicale – mica a piedi.
Camminare stanca, certo; chiede tempo, certo. È incomodo, certo. È così bello, però, che basta solo questo a giustificare il fatto di farlo. Camminare è un atto gratuito, necessario, sufficiente e vero: come tutto ciò che è vivo.
Cammina. Cammina…
Giovanni Bongo