Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. (…) Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici. H. D. Thoreau
ll passo successivo è non pensare “domani farò”; e non chiedersi “cosa ho fatto, ieri?”. Il passo successivo è vivere ogni passo, pienamente e senza alcuna trepidazione. Essere semplicemente in quel che si è mentre lo si fa.
Essere e fare; divisi sull’uscio del comprendere, separati all’atto della (presuntuosa?) dominanza dell’Io sul Mondo.
Sono, per dire qualcosa che non faccio; come a stabilire una superiorità su ogni fatto.
Oppure, al contrario, Faccio: per dire qualcosa intorno a quel che non è possibile contemplare. Per dire che fare è meglio che essere.
In un caso e nell’altro: divorzio da se stessi. Idealismo, in un caso; pragmatismo, nell’altro. Non fosse che l’esperienza è essere facendo ed è fare essendo. Unità, insomma.
Cammino dimenticando ogni ragione. Mi piace non avere scopi, non trattenere ricordi, non coltivare immaginazioni. Passo, piede, percezione dei limiti estensivi del corpo: una benedizione, tanto rara da apparire rarissima.
Nessun turbamento. Respiro sereno e profondo. Piena luce negli occhi. Visione trasparente delle cose. Forza unita a rispetto. Leggerezza unita al vigore. Cammino così, senza fretta, senza accidia. Senza alcuna ragione di dubbio e senza alcuna presuntuosa certezza.
Sono il mio cammino. Cammino nel mio essere. Cosa potrei desiderare di più?
Mi interessa la nudità dell’essere, sfrontata, coraggiosa, piena, potente, poliedrica, gaia per l’esserci, soddisfatta di essere com’è; consapevole della fragilità ma non per questo ostile alla vulnerabilità.
Cammino. So che tale benedizione è solo nell’atto che sto compiendo: per virtù ma anche per fortuna. Spesso la virtù è solo una grande fortuna, occasione ricevuta in dono senza particolari meriti. Chi è e fa qualcosa di buono dovrebbe, in primo luogo, lodare l’occasione propizia. Cammino. Altri sono obbligati a fuggire. Altri ancora a star fermi; oppure a desistere.
Io cammino. Me lo posso permettere. Semmai ho il merito di volerlo. Una possibilità giunge a compimento solo se voluta: questo sì, non lo nego, potrebbe essere un merito.
Quanto al resto, chi può dire cosa sarà? Chi può dire cosa accadrà? Camminando le profezie cessano di essere zelanti.
Gesù, nel Deserto, smise di essere Maestro, se non per se stesso. Il migliore dei profeti è chi smette di esser tale. Chi cammina è a un passo dall’Assoluto: sciolto da ogni vincolo, o quasi. Perché chi cammina ha piedi e mani. Ha testa e cuore. Ha, è, un corpo. Il corpo è il limite stesso della libertà verso cui tende.
Cammino. Ora mi è chiaro che sono libero perché non lo sono affatto; o lo sono ben poco. Che bello essere giudici della propria illusione. Che bello poter sorridere alla propria finitudine e ridere della propria tracotanza.
Cammino. Passo dopo passo dimentico ogni passo. Perfino i passi che mi paiono, mi parvero, imperdibili ed essenziali. Quel che resta, infine, è una somma destinata all’oblio. Come tutto…
Forse per tale ragione, o anche per tale ragione, cammino?
Cammino perché non bastano le ragioni che ho a dettarmi la necessità del mio incedere.
Cammino per raggiungere la mia fuga.
Giovanni Bongo
“Oltre i fastidi e le vaste sofferenze, un gravissimo fardello alla fosca esistenza, felice chi si slancia con forte ala verso i campi sereni e luminosi, chi ha pensieri simili alle allodole che spiccano il volo al mattino verso il cielo, chi sorvola la vita e capisce al volo le parole dei fiori e delle cose che non hanno voce.”
C. Baudelaire
Beati coloro che procedono. Che proseguono con passo sicuro lungo un cammino sconosciuto. Beati siano coloro che sotto una Luna nuova, non hanno lacrime da versare per i dispiaceri del passato. Beati coloro che abbandonano le rabbie e i dolori sul marciapiede, dietro l’angolo, perché questi appesantiscono il ritorno a casa. Beato chi ha imparato a farlo, chi ne è capace. Beato chi conserva le vecchie foto e le sfoglia, senza la tentazione di strapparle e farne cenere ma, riscattando le pene passate, permette che il sorriso, il sorriso ancor più vero che le foto immortalano, compaia sul volto. Beati coloro che muovono i loro passi al ritmo del proprio battito, segno di una vita che esiste, che è presente. Ora. Qui. Ricordando che il passato non è accumulo di cose fatte, parole pronunciate, persone conosciute, luoghi visitati e opere compiute: il passato è in ciascuno, sempre. Nel presente e nel futuro. Vivere è lo stravolgimento della grammatica: tutto il tempo si concentra in un istante se in quell’istante siamo presenti in maniera vera ed assoluta. Vivere è essere ora ciò che il passato ci ha insegnato ad essere ed esserlo in una prospettiva di cambiamento, di crescita, di elevazione di questo presente che sembra sfuggire. Che sembra correre troppo velocemente, come il passo di chi amiamo e non riusciamo a raggiungere. Vivere è lasciarsi travolgere dalla voglia di travolgere ogni parte del nostro essere e renderla protagonista di un’unica opera. Senza chiedersi dove termina il passato, dove inizia il presente e senza abbozzare l’avvio di un futuro. Peraltro, incerto. Vivere significa procedere con tutte le possibili coniugazioni del verbo essere, del proprio essere, cercando di curare le ferite che le regole di una grammatica spietata ci hanno procurato. E ricreare quell’originaria serenità di chi non sa e non vuole sapere quale sarà e quanto sarà complicata la costruzione della frase che il domani ci chiederà di scrivere. Vivere, rischiando di sbagliare. Non come è accaduto ieri. Perché oggi non siamo quelli che eravamo ieri. E domani saremo ancora altro… oggi siamo tutto quello che possiamo e vogliamo essere. Buona strada. A te che, coraggiosa o coraggioso, lucida o lucido, pronta o pronto, procedi.
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Precedere. Procedere. Avanzare anticipandosi. Alle volte occorre correre. Altre volte basta incedere lentissimi.
In tutti i casi considerati, si scorre. Non potrebbe essere altrimenti. Un uomo che stesse fermo per anni (teoricamente) invecchierebbe come gli altri, perfino più degli altri. Al limite opposto, ed estremo, un uomo che viaggiasse alla velocità della luce, invecchierebbe meno rapidamente, col metro temporale dei mortali viventi sulla terra. Per dire che la nostra natura, fragile e incantevole, è di tendere verso la luce: verso la rapidità dei fotoni.
Star fermi è doppiamente innaturale; lo è sotto la specie delle cose materiali; lo è sotto la specie delle cose spirituali. Ammesso che abbia senso continuare a separare le due sfere. Siamo materia; siamo energia.
Tutto scorre incessantemente, questa è la verità eraclitea. Camminare lo ricorda e lo sancisce. Procedere lo conferma…
Grazie.
G. B.
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