Le scoperte dell’ovvio

Le cose semplici non sono mai ovvie. Le cose ovvie non sempre sono semplici.

A giudicare dal numero crescente di “scoperte” fatte qua e là nel mondo (su temi quali la salute, l’ambiente, le buone pratiche di vita), pare che debba per forza esserci un laboratorio americano o inglese dietro qualsiasi conferma di cose già note; note a noi mediterranei da almeno duemilacinquecento anni.

Ci viene detto che la felicità non è nel danaro. Lo sapevamo. Ci viene ricordato che il silenzio fa del bene allo spirito. Ci viene anche raccomandato un pisolino pomeridiano; e di camminare. Quante volte lo sentiamo dire; quante volte lo ribadiamo anche noi, da queste pagine.

Però quel che manca, a tanti (e a tali) studi, è un’osservazione, semplice ma non banale, sulla posizione che occupiamo nella scala evolutiva e nel mondo – secondo le tassonomie da noi stessi ideate.

L’uomo, intendendo la “specie” e non il genere sessuale, è animale sociale; ed è un animale, in primo luogo.

Ha bisogno di comunità, di relazioni, di scambi. Mangia e beve; deve dormire, di necessità. Essendo bipede, e a che prezzo, è un bene che cammini. L’uomo è umano nella misura della sua sua animalità.

L’uomo è capace di astrazione, realizza linguaggi simbolici, ha coscienza di sé. Insomma, per essere com’è, non può che trarre giovamento da quel che gli esperti suggeriscono che faccia. Non fosse che gli esperti sono uomini, a loro volta, e dunque appartengono alla classe che intendono descrivere dall’esterno.

Si pone, qui, un dilemma logico: come descrivere il labirinto se ci si sta dentro? Come dire cosa fa bene all’uomo essendo uomini?

Ecco la risposta: noi siamo capaci di stare in noi e di commentare noi stessi dall’esterno. Siamo capaci di linguaggio e di metalinguaggio. Tuttavia è proprio quando ci osserviamo dall’esterno, per dir così, che perdiamo di vista quel che implica essere in noi, aderendo totalmente al nostro essere nel mondo.

La soluzione è nel ritorno al corpo. Al fatto che siamo corpo proprio mentre crediamo di poterci distaccare, intellettualmente, dalla nostra dimensione essenziale.

Perfino nel bel mezzo di una meditazione profonda, noi siamo respiro, battito cardiaco, pressione arteriosa, introduzione di ossigeno ed espulsione di anidride carbonica, scambi elettrici tra neuroni e neuroni, percezioni, propriocezioni, sensazioni.

La scoperta che camminare faccia del bene, tenga lontana la depressione e rinsaldi i legami di amicizia è un po’ come la scoperta dell’ovvio. Da intendersi, positivamente, come verità lampante: dunque utile proprio perché acclarata.

Sarebbe piacevole, tuttavia, sentirsi dire che quel che oggi scopriamo è quel che un tempo seppero; e che ad ogni latitudine si pratica ancora; e che in ogni cultura ha trovato spazio per consolidarsi: perché siamo uomini e donne, prima che scopritori dell’ovvio. Perché abbiamo dei corpi; e siamo corpi.

La saggezza è ascolto: non al di sopra, ma di là dalle parti.

Mangiare quando si ha fame e dormire quando si ha sonno, per parafrasare un detto zen, è saggezza.

Solo una società follemente malata di consumismo ha bisogno di “scoprire” che camminare tiene lontana la depressione e fare un pisolino pomeridiano rafforza la memoria. Cose ovvie per chi è più vicino alla Natura che all’Ipermercato. Cose ovvie, non sempre semplici; semplici, ma mai ovvie. Cose da sentire nei piedi. Prima di parlarne come di scoperte. A meno di voler intendere, con la parola “scoperta”, nuda verità.

Dunque, oggi mangerò per fame, dormirò per sonno, camminerò perché bipede, starò con chi amo perché sociale: perché uomo.

G. B.

Immagine: dal web

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4 thoughts on “Le scoperte dell’ovvio

  1. Le cose ovvie non sempre sono semplici. E non sempre sono ovvie come qualcuno le presenta. Nella maggior parte dei casi, non lo sono affatto. E ciò, non corrisponde al risultato di studi e ricerche, non è stato testato, scoperto né definito da alcuna disciplina. È verità vissuta. Sofferta. E confermata. Niente è ovvio. Non è ovvio ciò che ci viene raccontato da bambini, ciò che ci viene trasmesso da ragazzi, ciò che ci aspettiamo da giovani. Da adulti. Non è ovvio ciò che ci vien detto riguardo l’amore: ovviamente, non sempre procura benefici. Non è ovvio ciò che ci vien riferito sul sacrificio: ovviamente, non sempre vien premiato. Non è ovvio ciò che crediamo riguardo ai sogni: ovviamente, non sempre si realizzano ed ovviamente, non ci si può aspettare che questo accada. Non è ovvio ciò che sappiamo su Dio, sull’ al di là, su Occhi che vegliano sulle nostre delusioni e Mani che ci sostengono durante le prove: ovviamente, non sempre, non tutti percepiamo questo, allo stesso modo. E non è ovvio, non lo è neanche che la Primavera sia la stagione più bella: è solo la stagione in cui la bellezza della natura che non si è arresa, ci ricorda che nessun inverno, lungo che sia, può durare in eterno ma non è ovvio che tutti riescano a sopravvivere ai propri inverni. Non é ovvio correre a sgozzare il vitello più grasso per festeggiare il ritorno di chi ci ha abbandonati, traditi e delusi. O almeno, non é ovvio che lo faccia chi, distinguendosi, vive facendo del rispetto,
    della verità e della coerenza, i comandamenti a cui adempiere. Non é ovvio che i ricordi emozionino: proprio quando ripresentano situazioni serene, provocano malinconia e rabbia. E non é ovvio che gli apprezzamenti incoraggino: possono anche destabilizzare se destabilizzante è la realtà in cui questi si ricevono. È ovvio che camminare sia cosa buona e giusta, non é ovvio però che le gambe siano pronte per un’altra corsa, non é ovvio che intorno ci sia aria pulita da respirare e non é ovvio che, giunta la notte, si voglia tornare a casa. Non é ovvio. Nulla lo è. Ovvio è ciò che vien reso tale da chi lo vive. Bene o male. Gioia o tristezza. Coraggio o stanchezza. Equilibrio o caos. Ognuno ha la sua realtà, la sua situazione, la sua storia. Ovvie, perché ovvie sono le conseguenze di fatti, esperienze, scelte proprie ed altrui. Ovvie dopo essere accadute: perché quando và in un modo, é perché solo in quel modo doveva e poteva andare. Ovvio. È anche ovvio vivere e rendere senso a ciò che ovviamente siamo o non siamo, a ciò che ovviamente vogliamo e ciò che ovviamente non vogliamo. Ed è ovvio credere che potrà cambiare. Migliorare. Perché, ovviamente, noi ne saremo capaci.

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    • Ovvio che nulla sia ovvio. Ovvio che nulla di ovvio sia ovvio. Ovvio che il punto di vista ovvio è di chi tale lo considera negli altri, non in sé. Ovviamente non tutto il male vien per nuocere; occorre pure giustificare quel che non ci sembra abbia giustificazione alcuna.
      Ovviamente di tutto non v’è che opinione, per dirla con i filosofi a me cari.
      Ciò che è ovvio non è affatto un’ovvietà. Sì, forse è proprio questo il punto: nulla di ovvio si dà senza un prima, e un dopo, che ovvi non sono giammai…
      Qui si apre uno squarcio nell’ovvio di cui non si ha alcuna lacuna; che dunque ovvio non è.
      Grazie.
      G. B.

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  2. Ovvio che tutto sia ovvio. Ma quando riscopriamo nell’ovvio altre ovvietà è nostro compito comunicarle, per il proprio bene e per il bene dell’umanità. Se passeggiando potessimo scoprire capacità che, da un lato ci fanno stare meglio, ma dall’altro ci guidano sulle strada smarrita delle ovvietà perdute è nostro scopo, nostro personale destino perseguire queste scoperte; per il nostro bene è ovvio, ma mai nessun bene è stato migliore per noi del bene dell’umanità. L’epoca delle scoperte è già finita. L’epoca dell’esercizio, l’epoca della natura, l’epoca priva di invenzioni e carica di Uomo, perché l’uomo da solo equivale a tutte le invenzioni del mondo già migliorate, è già arrivata. La scienza colmerà i suoi vuoti e resterà un amore perpetuo e duraturo. 🙂

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    • L’ovvio non è una diminuzione del nuovo, è semmai una ripetizione del certo; eppure, concordo, v’è dell’ovvio al quale non è possibile dire di no; alludo all’ovvio, necessario, esercizio dell’amore – a mero titolo di esempio.

      Poi vi è l’ovvio del consumo di mondo: è mercificazione, ovvia, da disvelare ai più per smascherarne l’essenza anti-umana e meschina.

      Ovviamente, per vedere l’ovvio occorre riconoscere il nuovo…

      Grazie.

      G. B.

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