Che cosa dice la tua coscienza? Devi diventare quello che sei. F. Nietzsche
Che gran caso ti ha portato qui. Te lo sei chiesto, e detto, ripetendo a memoria, ma non con esattezza, quelle parole di quel filosofo di quel remoto periodo della storia: “osserva dall’alto”:..
Hai dovuto fare l’esercizio (di necessità virtù) di osservare dall’alto, per distaccarti dalla scena alla quale hai sentito di non poter in alcun modo aderire. Quante volte, quante, lo hai dovuto fare; quante volte hai dovuto immaginare di essere altrove, per non sentire l’urto ingiusto delle cose ingiuste che ti sono capitate.
Quale grande caso ti ha portato qui; cammini inquieto, oggi, quasi a voler fuggire, da qui e verso un altro luogo.
Complemento di moto in luogo: da qui a lì. Come a dire: da un tempo a un altro tempo, da uno spazio (ovvio) ad un altro spazio. Da uno spazio-tempo ad un altro spazio-tempo: ed eccoti chiarita la relatività, disarmata e priva di formule, ma così limpida, infine, da sembrar semplice.
Eppure, tutta la catena di fatti che a te sono noti, a te soltanto, dice quel che dice; se non fossi passato per là non saresti qui: di là dal bene e dal male – e di nuovo un filosofo soccorre il tuo pensiero di te.
Cammini senza alcuna ragione, oggi, e soprattutto senza alcun desiderio. Hai davvero smarrito le stelle, la stella, ogni paragone e ogni orizzonte. Non ha senso un bel niente, oggi, oppure non ne trovi uno. Starai in questa condizione per ore e per giorni; e non sai quando cesserà. Poi tornerà il buon umore, come un vento amico capace di spazzare via brume e nubi, con un moto rettilineo uniforme fatto di rotazioni per nulla uniformi e rettilinee: sì, vortici, frattali, geometrie non euclidee del tutto incalcolabili, o a mala pena immaginabili.
Cammini senza voglia, senza desiderio, senza motivi: quasi a stordirti; se bevessi vino non sarebbe uguale: perché dovresti rimaner seduto; e di questo non hai voglia alcuna.
Oggi sogni di partenze, biglietterie, stazioni, aeroporti, autostrade: oggi, sì, concederesti qualcosa al compromesso con i mezzi pesanti, con i motori, con tutto quello che, a parer tuo, è freno più che slancio.
Il fatto è che hai proprio voglia di andare, a rapidi passi (metaforici) verso il futuro, oltre che lontano; meglio, verso un altro presente, ovvero qui e ora ma non qui. Solo ora, ma non qui. Ché il futuro è tempo che non c’è ed è, soprattutto, tempo dopo questo tempo: e tu non vuoi affatto che il tempo scorra, ma solo che lo spazio passi.
Ecco, vorresti solo far passare lo spazio e rimanere nel tempo. Oggi è così: separare il tempo dallo spazio. Trattenere solo il tempo e lasciare andare lo spazio. Giovani, per sempre, e ovunque, in qualsiasi modo. Non male.
Oggi il tuo camminare è questo. L’infelicità è anche questo. In moto, da un luogo all’altro, è la rappresentazione di quel che significa dire: “vorrei andarmene”.
Solo nello spazio. Non nel tempo. Perché lo spazio guarisce il tempo ferito.
Questo è quel che hai motivo di pensare, oggi.
Camminando, l’intelligenza è nei piedi: ed è un bel pensare, perché tocca la base delle cose.
Giovanni Bongo
Doveva accadere. Era inevitabile. Doveva accadere di rendersi conto di non essere nel posto giusto, nel momento giusto. O forse, semplicemente, di non essere la persona giusta, qui, in questo periodo. Perché sei troppo permaloso, forse, e non ti riesce proprio dimenticare le ingiustizie subite. Perché sei orgoglioso e di sentirti mortificato, no, non ti va più. Perché sei paranoico e pesante ed ogni occasione è buona per ricordare a chi non vuoi lo dimentichi cosa ti è stato detto, cosa di te non è piaciuto, la tua parte offesa, o probabilmente, è un modo per ripeterlo a te stesso. Ripeterti, quasi con tono accusatorio, che non è il tuo posto, non è il tuo momento. Doveva accadere. Lo sapevi che sarebbe accaduto, lo sapevi dall’inizio, dal primo giorno. Lo sapevano il tuo corpo, il tuo spirito, i tuoi nervi. Ma ti sei lasciato distrarre e cullare dalle stelle che stasera non vedi. Eppure, erano lì. Ieri, l’altro giorno, il mese scorso, un anno fa: erano lì, tetto delle tue gioie e delle tue conquiste. Oppure, erano solo il riflesso delle lacrime che, sapevi, avresti versato. Le hai lasciate lì, quando sei salito in alto per vedere, per guardarti e in quel momento, hai capito che prima o poi avresti pianto. Lo avevi capito che non ci sarebbe stato altro da fare. Tutto quello che hai vissuto, sopportato e condotto come una battaglia contro i mulini a vento, ha avuto il solo scopo di portarti qui: in un luogo da cui vuoi fuggire, e lo farai perché ti vuoi bene. Ti hanno portato fino a stasera: in un presente che non riesci a distinguere dal passato e non riesci a separare dal futuro, perché appaiono confusi, incastrati l’uno con l’altro e non ne vedi l’inizio. E non ne vedi la fine. Ti ha portato qui, ora: su una veranda che ti avvicina al cielo, quel cielo a cui tante volte hai teso lo sguardo, la mano, la sigaretta accesa per farlo sussultare, la penna affinché la ricaricasse di parole nuove. E a quanto pare, ha sussultato. E le parole nuove sono arrivate. Dritte, spedite e spietate su un foglio che non hai mai chiuso nel cassetto né accatastato sugli altri. Sono arrivate chissà da dove, chissà da quale lontana sera trascorsa a pensare, a maledire, a graffiare la tela di un passato ingenuo, di quel passato in cui credevi davvero di aver finito di faticare per dimostrare chi sei e ciò di cui sei capace. Non avevi capito nulla, in quel passato, di quel medesimo passato. Ed ora, non ti resta che una testa troppo stanca per chiederle di fare ordine, troppo piena per non esasperarsi, troppo vuota per orientarti tra ciò che è reale e ciò che credevi lo fosse. E smetti di piangere, lo sapevi che sarebbe andata così, che così sarebbe finita. Come, altrimenti? E faresti bene anche a smetter di scrivere e provare a dormire: queste, saranno solo altre parole tra le quali far cadere le tue lacrime, bagnando il vuoto che le separa. Oppure, lo sai, ne avrai bisogno. Avrai bisogno di aloni che ti ricordino come si vive senza tutte le fantasie che aiutano a sopravvivere, senza tutte quelle illusioni, senza tutte quelle convinzioni. Spegni e vai a dormire: avrai tempo di pensare ad una degna alternativa, ad un degno seguito, quando “tornerà il buon umore, come un vento amico capace di spazzare via brume e nubi” e chissà, magari, presto, tirerai un sospiro di sollievo: ovunque sarai, saprai di essere nel posto giusto. In un tempo nel quale ti troverai perché ti ci avrenno accompagnato, o spinto, questi giorni senza tempo. Senza Luogo.
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Non lo sapevi; semmai lo avresti potuto immaginare, perché se tutto sapessimo dall’inizio nulla potremmo fare fino alla fine.
Verrà il vento. Vedremo chiara ogni cosa. Intanto continuiamo a camminare, fino alla uscita dalle brume, fino a cogliere un nuovo punto, più alto delle nubi o semplicemente più lontano dal passato; se non nel tempo, almeno nello spazio…
Grazie.
G. B.
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