Quanti di voi sanno di essere vivi? James Douglas Morrison
Lo hai detto? No, non l’ho trovato opportuno; se poi mi giudicasse male?
Lo ha scritto? No, avrei voluto ma non l’ho fatto; se poi mi giudicasse male? Sai, tengo molto al suo giudizio.
Dunque non lo hai detto e non lo hai scritto temendo il suo giudizio? Dunque, il suo giudizio (per te) conta più del tuo stesso giudizio?
Allora fai così: non lo dire. Non dire che sei omosessuale; che sei di sinistra; che sei di destra; che una volta hai baciato una donna, tu che sei donna; che una volta hai baciato un uomo, tu che sei uomo. Non dire che sei favorevole alla pena di morte, altrimenti la ragazza che ti piace tanto (militante per i diritti umani) ti toglierà il saluto.
Non dire che non ami per niente le divise, altrimenti il ragazzo che ti piace tanto (militare di carriera) ti toglierà il saluto.
Non dire che non ami affatto quel suo modo di trattare gli altri. Non dire che non ami gli altri, quando ti trattano in quel modo. Non scrivere quello che pensi, potrebbe essere il contrario di quello che pensano. Non scrivere quello che non pensi, potrebbe essere proprio quello che tutti pensano e che nessuno (di loro) si aspetta che tu non pensi di non pensare.
Nasconditi, adeguati, fai come tutti, asseconda la maggioranza, tieniti tutto per te, giusto o sbagliato che sia, tanto è sempre giusto quel che pensano gli altri.
Vuoi provare a dire la verità? Vuoi provare a scrivere la verità? Bada bene, non la Verità definitiva e divina. La tua piccola, fallibile, modesta, umana verità? Sì, proprio quello che tu pensi e quello che tu senti. Ebbene, vuoi provare a dirlo, a scriverlo? Vuoi provare a dire quello che vuoi dire?
Conosco l’obiezione. Ci hai provato al pranzo di Natale e hai offeso tre zii e due nonni. Ci hai provato al liceo e ti sei beccato un 4. Ci hai provato all’Università e ti hanno chiesto, cortesemente, di tornare al prossimo appello.
Ci hai provato con il selezionatore del personale e ti ha fatto notare che eri molto più preparato di lui ma molto meno capace di vendere.
Ci hai provato con quella ragazza, ma ti ha detto che sei troppo interessato al sesso. Ci hai provato con quel ragazzo, ma ti ha detto che sei troppo romantica.
Insomma, non ne puoi più di dire quel che pensi e di scrivere quel che vuoi scrivere. Non osi proprio scrivere, dire, fare.
Allora prova a considerare quest’altra prospettiva. Potresti pentirtene. Un giorno potresti pentirti di non averci provato, Di avere soffocato il tuo spirito. Di avere mentito per troppo tempo. Di avere privato te stesso, te stessa, della gioia di provare ad essere chi sei. Potresti pentirti, un giorno, di non avere litigato, di non avere infranto un muro di spietate convenienze; di non avere trasgredito, di non avere osato, di non aver sfidato gli dei, di non aver attraversato mari dominati da Nettuno e oceani dominati da Nessuno. Potresti pentirti di non aver varcato soglie di porte chiuse alla libertà che meriti.
Dunque, perché siamo vivi? Per calcolare l’effetto di ogni parola detta o scritta? Per evitare di essere giudicati? Per salvaguardare il nostro onore? Per fondare il nostro accordo su di un sottaciuto, e vile, disaccordo?
Siamo vivi, invece, per essere vivi: per dire, per scrivere, per manifestare, per discutere, per litigare, per far pace dopo aver discusso, per non lasciare indietro noi stessi. Siamo vivi per piangere le nostre lacrime, ridere di gusto, abbracciare, raccontare, dichiarare. Siamo vivi per vivere. Non solo vivi per modo di dire.
Se non dici, non scrivi e non fai, rinunci a vivere. Dire è come ascoltare. Ci vuole corpo, coraggio, forza, tenerezza, amore: per ascoltare e per dire. Dire: il verbo della presenza che non si sottrae a se stessa. Dire, non per modo di dire. Dire, per vivere e per dire chi sei. Chi sei? Non credi che sia ora di dire chi sei?
G. B.