Il tempo non rappresenta l’unico volgere del vivere, né il limite estremo dell’esistere. V’è anche lo spazio. Eppure, non c’è uno spazio che non abbia luogo, è il caso di dire, nel tempo che lo accoglie, gli dà forma, lo sostanzia.
Basta immaginare, ricordare, oppure ritornare nei luoghi. Gli stessi luoghi, se curati o se trascurati, non sono gli stessi luoghi già dopo un anno; figurarsi dopo un decennio; o un secolo.
Se potessimo viaggiare nel tempo, sembra ovvio, potremmo apprezzare i mutamenti delle forme del mondo, inevitabili ma non necessariamente equi.
L’albero che cresceva è diventato un agglomerato di cemento. L’opera d’arte è diventata discarica.
Ci si avvede, così, che la preservazione, questa attitudine così rara presso gli umani, è una sorta di arte capace di imprimersi nel tempo prima ancora che nello spazio.
Ecco allora sorgere mucchi di domande: quanta cura abbiamo per le cose attorno a noi? Quanta cura abbiamo per i luoghi? Quanta attenzione prestiamo ad un modesto giardinetto, ad una aiuola, ad un grumo di pietre poste a custodia di un fiore?
Ci avvediamo, passando, di quel palazzo? La piccola statua, che ogni giorno sfioriamo distratti, è diventata grigia? Che ne è stato di quella tela (qualcuno la chiama crosta) che impietosisce i devoti all’ingresso di quella piccola chiesa umida e dolciastra come l’incenso che in essa ristagna?
Dei luoghi dei nostri giochi, v’è ancora traccia? Della panchina di quella nostra lite, v’è memoria? Dell’albero frondoso, v’è l’ombra?
Nel tempo, gelatinoso, si imprimono le nostre tracce; tanto che a tornare dopo un decennio nello “stesso” luogo pare quasi di potersi rivedere, come in una foto o in un film, nell’atto di compiere quel dato gesto di cui serbiamo piena memoria – come se fosse ieri.
Ecco che tornare, alle volte, significa rivivere, ed è come se lo spazio ripopolato dalla nostra presenza potesse ripresentare il tempo che abbiamo smarrito: rimembranza, ecco quale è il moto dell’anima. Che malinconia e che gioia, in tale esercizio di rivisitazione. Ci affacciamo sulle cose e rivediamo tutto come se fosse presente, vivo, col suon di lei, col suo viso, col nostro abbraccio. Con il nostro ultimo saluto. Con le nostre speranze. Con la nostra innocente vaghezza. Con la nostra presuntuosa volontà.
Cura dei luoghi diventa, in tal modo, cura di sé; o almeno dei propri ricordi. Al sicuro solo nel porto della preservazione.
G. B.