Non voler procedere. Stazionare. Attendere. Aver male ai piedi. Non sentirsi affatto bene. Non avere voglia. Non volersi alzare dal letto. Percepire la rinuncia. Voler rinunciare. Rannicchiarsi. Sdraiarsi sul lato sinistro, con le mani tra le gambe, e starsene in un cantuccio del letto, coperti, tiepidi, depressi. Non voler proprio andare. Fuori, il cielo è ancora nero. Non volerne sapere. Tutto tace. Tutti tacciono ancora. Il silenzio è garante del segreto dell’insonnia morbida che ti ha destato. Sei stanco, vuoi solo dormire, ma osservi il tuo stesso vegliare sulle possibili ore di sonno ancora a tua disposizione. Poi bisognerà pur levarsi. Levarsi di torno, non solo destarsi. Che voglia di andare. Che voglia di restare. Che voglia di niente. Ecco qualcosa che in pochi ammettono. Che non si è sempre pronti ad andare. Che alle volte non si vuole affatto andare. Che alle volte non si è pronti, forti abbastanza, motivati o solidi. Le prime voci, il rumore sordo di cose raccolte prima che il sole illumini le cose. Passi. Cerniere. Zaini. Non si può rimanere stesi a contemplare la propria tristezza. Con un moto di rabbia ti alzi. Ti prepari. Ti lavi. Sei pronto a farti fare compagnia. Dopo una colazione robusta consumata per lo più tacendo, pensando ai tuoi dilemmi, alle insicurezze di una vita che la vita ha reso solide come rocce, parti. Le insicurezze? Un cammino, un solo cammino, non può spazzarle via. A che serve averlo fatto? Non lo sai. Sai che occorre andare. Procedere. L’imperativo è nella tua stessa azione, priva di scopo apparente, priva di ragioni. È necessario che tu vada. Chi lo dice? Tu. I tuoi primi passi sono meccanici, la tua testa è ancora piena di sogni irrisolti, delle residue percezioni di una veglia stanca e priva di ardore. Poi cominci a provare calore nei muscoli, alla prima salita il freddo umido scompare. Sudi. Dimentico della notte appena trascorsa hai pensiero solo per i pensieri che ti turbano da chissà quanto e e che proprio nel cammino sono diventati totalizzanti. Sei qui per liberarti? Il corpo non fa che mettere in scena quello a cui, sordamente, eri abituato. Camminare, in un simile caso, non è un lieto passaggio tra un pensiero e l’altro, non è meditazione, non è leggerezza. È peso, pesantezza, gravità. È limite. Verrà la meta, non sarà altro che riposo, abbandono delle armi, rifugio, silenzio, sonni profondi. Al momento non lo puoi neppure supporre. Vuoi solo una meta. Cammini per quella meta. Non comprendendo che ogni meta è una deludente combinazione di molteplici casi e scarse necessità. Si sogna solo quel che non si ha il coraggio di prendere. Alle volte ci si accontenta di qualsiasi presa. Avviene perché non si è stati in grado di prendere quel che si è sognato. Cammina. Cammina. Cammina… Giovanni Bongo