Sta succedendo a te, non sta succedendo a me.
James Douglas Morrison (rivolto al poliziotto che lo stava arrestando)
La vera sincerità non millanta. Non ferisce. Non dice il “vero” per dire altro; non elogia per screditare, non abbraccia per discriminare. La vera sincerità non dice “vola” per spezzare l’ala come un sasso; non dice “fai” per trattenere; non dice “hai talento” per sminuire quel che fai mentre lo fai, in assenza o in attesa di occasioni migliori. La vera sincerità non rassicura mentre insinua il dubbio che tu non sia all’altezza.
Quanti di voi si sono sentiti umiliare da chi avevano accanto, da chi avrebbe potuto scorgere il loro valore, da chi (forte di un momentaneo ed effimero potere) avrebbe potuto (dovuto?) offrire loro vere opportunità – non finte occasioni create solo per tenervi fermi al palo della gelosia, dell’invidia, dell’eterna promessa d’una gloria perennemente rinviata?
Così è la massa degli uomini? Ingiusta con chi prevede i tempi, precede le visioni, intuisce il divenire; con chi ha talento ma non fortuna? Così è la società nel suo complesso, ovvero chi la popola senza particolare dignità: preferisce i vili, gli ipocriti, i mediocri, gli obbedienti a qualsiasi costo, gli omertosi, i lacchè, i prudenti per viltà, i disonesti?
Ecco, non bisognerebbe mai lasciare il potere ai mediocri: essi inchiodano il profeta alla sua croce; incapaci di bene e di male, ignavi come despoti senza potenza, deridono il filosofo e il poeta, decretano la morte di Giordano Bruno, sanciscono la solitudine abissale di Nietzsche, accettano la precarietà dell’intellettuale (ignoto) lasciato a patire in un call center, in un pub, in un ipermercato di periferia.
Sapienza, libertà interiore, coraggio, dignità, onestà, sensibilità, passione, amore per il prossimo, attenzione al mondo, cura per le cose: ecco le “competenze” che nessuna scuola può stabilire per decreto, nei labirinti irragionevoli dei suoi percorsi obbliganti.
Insegniamo ai nostri figli il rispetto, la fedeltà alla parola data, la capacità di cambiare idea senza, con ciò, capovolgere (stravolgendolo) il senso delle cose già pensate. Insegniamo l’onestà con gli altri, la dignità con se stessi.
Insegniamo a noi stessi, per cominciare, tutti i valori che pretendiamo di vedere onorati da chi ha il potere di decidere in nostra vece.
Impariamo a decidere per noi stessi, non a postulare con l’inganno ma a governare alla luce del sole.
Impariamo a praticare i nostri pensieri, a farne carne, ad essere fedeli non ad una astratta idea di fedeltà, non ad uno sterile legalismo, bensì alla giustizia fatta volto e alla coerenza fatta autenticità.
Scegliamo non quale carriera intraprendere (a scapito degli altri) ma quale talento far sbocciare – per la gioia di tanti, oltre che per onorare la nostra stessa natura.
Quando incoraggiamo, facciamolo non per sminuire implicitamente, quasi fossimo gli elargitori di una grazia sgraziata; piuttosto diamo forza a chi è caduto in disgrazia suo malgrado, senza aver demeritato, colpito dai dardi della fortuna avversa e per il momento costretto ad una condizione inferiore ai suoi mezzi.
La sincerità non è l’elogio mellifluo fatto per garantirsi una menzione, né la stroncatura brutale fatta in ossequio ad una ideale schiettezza, che invero è parente della brutalità più rude.
La sincerità è una forma di cura: aiuta a volare chi ha l’ala chiusa, aiuta a correre chi ha le lunghe zampe tremanti, aiuta a scrutare l’orizzonte chi ha lo sguardo profondo abbassato. La sincerità è una carezza maieutica, è ascolto, in primo luogo attenzione. Si tratta di grandezza d’animo, non di ristrettezza di cuore.
La sincerità non è di chi dice di volere il nostro bene – ma pensa invece al suo orgoglio; di chi dice di volerci bene – ma pensa invece alla sua concezione di successo. La sincerità non è l’applicazione di un criterio generale ad un ingegno particolare, come tale non compreso da nessun criterio perché nuovo criterio a se stesso.
La sincerità è la libertà in forma di parola: che dice mentre ascolta; che ascolta mentre dice.
Giovanni Bongo
“La nostra è un’epoca essenzialmente tragica, perciò ci rifiutiamo di viverla tragicamente.”
D. H. Lawrence
Guardate i loro occhi: sapete dire di che colore sono? Hanno il colore della delusione. Sì, la delusione ha un suo colore. Quello dei vostri silenzi, delle vostre omertà, della polvere che sollevate con le vostre fughe. Il colore grigio, cupo, quello della nebbia che pesa sulla giornata che inizia a fatica. Il colore ingiallito delle vostre stanze in cui praticate il vostro potere, in cui non riuscite mai a trovare il tempo per risolvere questioni importanti. Realmente importanti. Il colore del fuoco, con cui vorreste bruciare, eliminare le prove della loro lealtà, della loro onestà, della loro lucidità. E quelle delle vostre omissioni, delle vostre omertà, dei vostri nascondigli. Guardate, guardate quegli occhi: brillano. Non è il fumo proveniente dalle vostre sterili discussioni e vuote dispute a provocare quel bruciore agli occhi. Sono le lacrime che non hanno versato, quelle trattenute e costrette a star lì, prova della loro Umanità ferita ma non uccisa. Umiliata ma non vinta. Scoraggiata ma non eliminata. Sono prova di un cinismo di cui hanno deciso di vestirsi: un cinismo pieno di passione che indossano ogni giorno, senza cedere alle vostre proposte frivole ed insensate.
Li avete guardati i loro occhi? Li avete osservati per bene? O siete scappati prima che questi vi puntassero, prima che vi penetrassero, prima che vi paralizzassero sulle vostre deboli gambe? Avete visto, o anche solo immaginato, quanti sogni custodiscono ed in che modo, con che forza, lo fanno? Neanche cavandoli, riuscireste ad eliminarli. Perché il colore nero delle notti in cui li avete condannati a star svegli, il bianco dei fogli che hanno riempito delle vostre menzogne e delle loro verità, il rosso del sangue che hanno sentito avvelenarsi nelle vene a causa vostra, questi colori, vivi, sono i colori che la Storia non dimentica, che la Storia ama e racconta e difende. A dispetto delle vostre condanne, delle vostre costrizioni e delle vostre privazioni.
Guardate le loro mani: indovinereste mai il loro mestiere? Il loro palmo è segnato dai calli del fabbricatore. Fabbricano speranze, loro, e sogni e ideali. Soffrono il freddo, gonfiano con il caldo, ma non smettono di lavorare. In qualsiasi stagione, loro faticano, costruiscono. Potete accarezzarle, se volete. Sono ruvide, le loro mani, hanno rughe perché hanno stretto: verità, possibilità, soluzioni. E sono ruvide, perché con la stessa energia, si sono aperte: in nome della libertà e della condivisione in cui credono. Sì, sono molto diverse le loro mani dalle vostre: le vostre sono rilassate, protette, nascoste in tasche così profonde da poter contenere i sassi che non avete ancora lanciato. Le vostre mani, al massimo, sono allenate nel fare i conti, nel puntare l’indice, nel ruotare tutte le altre dita in una perversa coreografia.
Stringete, stringete quelle mani nelle vostre. Sono tozze? È probabile. Sono piene di rabbia. Di risentimento. Di sentimento. Sono sazie, non hanno rimorsi e non hanno rimpianti. Sono sazie di vita vissuta, accarezzata, stretta fino a sentir male. Conoscono il peso della testa che tante volte hanno dovuto sorreggere, riconoscono il battito del cuore che infinte volte hanno monitorato con la paura di sentirlo esplodere, amano e godono di ciò che la vita offre. Ma le vostre mani non comprendono, perché sono distratte da altro, piene di altro, sazie e sempre affamate di altro. Pulsano di invidia, le vostre mani: effimero, debole e vuoto è ciò per cui le fate lavorare, gesticolano al ritmo di parole ripetute senza responsabilità, senza prudenza, senza coscienza. Le avete analizzate le loro mani? Avete misurato il loro calore, calcolata la loro larghezza, intuite le loro capacità? Nemmeno tramite mutilazione riuscireste ad annullare i loro progetti, affievolirne la caparbietà, alienare il desiderio delle loro mani, il loro bisogno, il loro senso del dovere e la loro consapevolezza del diritto di costruire, costruire, costruire. Non case e ponti, aeroporti e strade, edifici abusivi e inutili. Costruire un futuro in cui ciascuno potrà realizzarsi e potrà urlare i suoi sogni senza esser deriso. Un futuro in cui l’onestà e la giustizia e la coerenza, non corrisponderanno ad eccezioni. Un futuro vissuto da Persone che guarderanno quegli occhi vivi, perché saranno vivi sempre e per sempre, stringeranno quelle mani, sapendo che sono appartenute a Uomini e Donne che non si sono arresi ed arrese. Che non hanno offerto pane a stomachi sempre affamati, che non hanno alimentato corpi maligni, che non hanno riscosso denaro o potere o successo a spese di altri. Uomini e Donne che hanno sacrificato passione e talento pur di celebrare la verità. Che hanno riconosciuto la menzogna e cercato di distruggerla. Che hanno pianto, ma non troppo: affinché i loro occhi non fossero gonfi a tal punto da non riuscire a seguire la nuova strada. Uomini e Donne che della Sincerità hanno fatto parole, melodia, le hanno dato forma, le hanno dato vita, che ne hanno fatto la loro stessa vita.
Guardate verso di loro. Un’altra volta. Un ultimo istante. Prima di fuggire, come avete imparato a fare bene. Ripartendo per una nuova fuga, però, pensate al fatto, curioso, di non esser stati esortati a guardare le loro gambe. Perché? Perché le loro gambe sono già dove andrete voi, vi precedono perché prevedono i vostri passi, conoscono le vostre mete, azzardano la scorciatoia che sceglierete. E non sbagliano mai. Perché è la verità a guidarli. A sorreggerli. A rafforzarli. E a offrir loro validi motivi per non vivere tragicamente, in un’epoca che voi avete reso così triste, così grigia, così persa, così tragica.
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Soggiungo, semplicemente, che l’autenticità – vivere onesti, pienamente, con sguardo capace di sguardo – è ciò che distingue chi ha libertà da chi ha dominio.
O almeno mi piace crederlo…
Grazie, Deborah.
G. B.
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