I have climbed the highest mountain I have run through the fields…
But I still haven’t found what I’m looking for…
U2
Lo hai scritto nella piccola agenda dal dorso nero, sul primo foglietto giallognolo che t’è capitato tra le dita, con una grafia ordinata e scolastica. Hai scritto “Prima conseguenza: tutto vuole vivere” e hai archiviato il senso della prima giornata di marcia. Hai varcato i Pirenei, per raggiungere Roncisvalle, memoria remota di qualche accidioso studio di storia – e ora ci sei dentro, sei nella storia libresca e nella tua personale storia di vita.
Partito dalla nebbia, hai varcato il lembo superiore delle nubi grigio latte e sei finito in piena luce, mai vista tanta luce tutta insieme dopo una sosta lattiginosa tra i nembi, forse neppure in volo; o stai solo esagerando la misura delle cose, ti era già capitato, molto più in alto e sempre a piedi, sul Corno Grande, anni prima
Hai scalato i monti, traversato i campi (ne traverserai ancora molti) solo per stare con lei, con lui, con chi?
Sì, non hai ancora trovato quel che cerchi. Non troverai mai quel che cerchi. Troverai mai quel che cerchi?
Ora cammini e canti, coperto dall’anonimato degli auricolari, come se il fatto di poter udire (solo tu) quel che odi in cuffia ti proteggesse dal fatto di poter essere ascoltato mentre canti. Dunque, tu che sempre hai evitato di cantare per gli altri (se non per pochi) pur cantando benino, maledetta timidezza che ti porti appresso, ora canti senza pudore, camminando con passo svelto, quasi leggero, e lasciandoti dietro una nuvola di pellegrini stanchi, lenti, solo un po’ meno baldanzosi di te. Tanto, poi, si arriva tutti: chi più veloce e chi meno. Ti viene spontaneo domandarti qualcosa sulla velocità e sul suo senso, ma non ci pensi. Ora sei soprattutto ricordo – e speranza, questo sentimento che dici di non amare e che però pratichi ancora, continuamente.
Hai scalato le più alte vette e attraversato i campi: solo per lei, per lui, per chi?
Non hai ancora trovato quello che cerchi.
Avevi 18 anni rotondi, quando per la prima volta udisti la chitarra ariosa di questa canzone che canti quasi fosse un manifesto. La chitarra remota, piena di riverberi, ti faceva ipotizzare deserti giallastri popolati da serpenti e cactus e sovrastati da cieli netti come nubi disegnate dal bianco più puro.
Anche al tempo cercavi quel che ti sembrava di poter trovare: non lo hai mai trovato.
Hai solo incontrato molte cose, molti volti, molte esperienze. Hai incontrato, senza trovare. Hai amato, gioito, voluto, ottenuto, preso, stretto, lasciato andare. Hai sfiorato, stretto, posseduto, abbandonato. Hai visto andare, hai visto morire, hai visto partire. Hai visto nascere, hai visto sperare. Però no, non hai ancora trovato quel che continui a cercare.
Cammini invano, da tale punto di vista, e lo sai già. Ma ti piace credere che giunto sulle rive dell’Atlantico sarai un altro, trasformato, cambiato, più sereno e felice. Invece ne saprai di più, di te e del mondo; sarai perfino più asciutto, magro e frugale; ma dovrai continuare a cercare quel che inevitabilmente ti sfuggirà. Perché è una legge gravitazionale, la nostra, e ci tocca di cercare e ancora cercare quel che non troveremo, se non a tratti, illusi come un Ulisse ebbro e felice tra le braccia di una qualche maga, ma infine destati dal nostro momentaneo torpore.
Dormire, forse sognare, come morire: lo diceva Amleto, lo dice sempre Amleto, senza teschio in una mano, a mani nude anzi, e lo dice a te. Ora traversi quel campo giallo come grano e sabbia e deserti immaginari e dune e pietraie e canzoni di estati remote. Il cielo serale, d’estate, è promettente: pare che non viaggi verso il nero della notte ma verso il bianco delle stelle.
Non c’è pausa, nel caldo promettente dell’estate. Per questo cammini come se non dovessi mai fermarti. Corri, perfino. Alla fine, però, si arriva tutti lo stesso. Anche chi va lento. Anche chi è lento in modo tormentoso. Anche chi è più rapido di te.
Alla fine, cercando, non si trova che quello che capita: talvolta perfino quello che si stava cercando; ma senza trovarlo del tutto, perché ancora bisogna cercare.
G. B.
Lei, invece, lo ha letto in quel libro che la vita è una continua ricerca e che cercare significa vivere pienamente i propri giorni. È dura. È faticosa, la ricerca. A volte, logora. Lo aveva già letto tra quelle pagine che compongono il libro che porta con sé, sempre.
E che ha regalato alla sua più cara amica: perché anche nella ricerca più intima, nessuna delle due si sentisse sola.
Ha riletto quel libro diverse, tante volte. Ed ogni volta, è una nuova verità che apprende; ogni volta, la lacrima che precipita sulla pagina sotto agli occhi, produce un alone diverso, sempre più marcato. Perché le lacrime, forse, portano dentro la polvere delle strade percorse e abbandonate. E stasera, le rivede, le ripercorre quelle strade, pur senza quel libro, che è chiuso. Quante strade ha percorso, si chiede, o forse ha solo sognato di intraprenderle? E quanto tempo é passato da quel momento in cui ha capito che quella che stava percorrendo, non era la strada giusta, che la compagnia non era opportuna, che le sue stesse scelte non erano positive? Appare tutto alterato, stasera. Perché è cambiata tanto, se ripensa a quei giorni, le risulta difficile credere che fosse realmente lei. Ed è cambiata perché non si è fermata: ha accolto, accettato la proposta che la vita le ha offerto: vai! Vai! E cerca! Cercati…
Non può raccontare della fatica affrontata nello scalare alte montagne, ma racconta, ed ora lo fa con una sconcertante lucidità, dei fondi che ha toccato, sui quali ha impresso la forma del suo corpo che non riconosceva neanche. No, non può descrivere la soddisfazione che si prova dopo aver attraversato mari e deserti, ma può descrivere quella che ha vissuto mentre apriva le acque di un’avversità che non le dava tregua, la soddisfazione provata mentre ci passava nel mezzo, fiduciosa. E la fierezza di cui le si è gonfiato il petto nel momento in cui si è resa conto di esser sopravvissuta alla tempesta di sabbia che s’ era abbattuta contro di lei e da cui aveva imparato a combattere difficoltà così grandi. Lei, che ora volta lo sguardo su quel libro, lo sa che se non avesse perseverato nella ricerca, stasera non sarebbe dov’è, non sorriderebbe per i sogni realizzati e non sospirerebbe sulla paura che un altro cammino incute. Perché fa paura. Tanta. E rattrista. Perché cercare vuol dire lasciare: lasciare andare o lasciarsi alle spalle, le persone e le cose e le storie che intorno al nome di chi le vive, si sono intrecciate. La ricerca stanca. Scoraggia. Fa arrabbiare. Perché a volte si prende gioco di noi e della nostra fiduciosa ingenuità: come da piccoli, quando per insegnarci a nuotare, ci chiedevano di raggiungere un qualcuno che, tradendoci, si allontanava man mano che noi ci avvicinavamo… sono i rischi che corre chi sceglie di non arrendersi, chi continua, chi persevera. Chi non si considera mai arrivato, realizzato e soddisfatto: perché sa che dietro l’angolo c’è qualcosa, dev’esserci per forza e va a vedere. Va a cercare. Va a vivere ciò che questa parte di mondo non gli ha concesso di vivere, di conoscere, di amare o abolire. E la ricerca continua. E chissà per quanto ancora. L’unica speranza, è di viverla assaporandone il sapore più nascosto. Con quel vecchio libro tra le mani e con lo spirito sempre pronto.
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Mi permetto di osservare quanto segue, citando (e parafrasando) parte di un mio scritto, che tra breve sarà pubblicato altrove, non su questo blog: la ricerca è come un addio, come un saluto inatteso, non voluto, patito; come un addio forzato, parzialmente subito anche quando (apparentemente) procurato. Ogni addio (e ogni ricerca implicante il nuovo e l’abbandono di quel che è noto) è una forzatura. Significa andare verso Dio, il che implica una fine, una sostanziale chiusura dei conti – tanto più dura per chi non ha un Dio verso il quale tendere e non aveva nessuna intenzione di chiudere alcunché.
La ricerca è, però inevitabile; lo è perfino per chi tace, per chi acconsente, per chi se ne sta immobile – credendo, con ciò, di frenare il tempo, che invece scivola ovunque, tanto più drammaticamente per chi ne fa il computo ma non ne considera la massa, la velocità, l’energia.
Grazie.
G. B.
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