Ottimismo?

L’ottimismo è spesso confutato dalla realtà. Il pessimismo è sempre confermato dall’esistenza degli ottimisti.

Questo non vuol dire che dobbiamo cedere. Né che dobbiamo piangere ad ogni passo. Né che dobbiamo rinunciare. O, peggio, che dobbiamo essere accidiosi per paura.

Al contrario. Una buona ragione per sopravvivere è nel fatto stesso di essere vivi: si tratta di continuare, persistere per esistere.

Trovo inadatto l’atteggiamento sorridente ad ogni costo: tipico dei venditori di almanacchi e dei conduttori radiofonici del mattino, ai quali si amerebbe poter dire, in diretta nazionale: “che c’hai da ridere, alle 7.40”?

Trovo eccessivo l’ottimismo dei persuasori dalla comunicazione efficace (ma solo in ufficio): una volta tornati a casa mostrano il muso alle mogli, ai mariti, ai figli e al cane.

Trovo ridicolo il sorriso forzato, e dovuto, dei venditori di automobili nuove – degli usati, siano essi  venditori o auto, parlano i fatti: spesso sono preferibili alle novità, alle volte si lasciano prendere dallo sconforto, altre volte decadono per mera legge dell’entropia.

Trovo esagerato il “tutto va bene” di chi cita qualche massima filosofica solo nei momenti in cui tutto va bene davvero, ma solo a lui o a lei; insomma, a chi pronuncia la frase dopo una notte di sesso appagante o per aver incassato una bella somma.

Non dico nulla dell’ottimismo degli irragionevoli, degli smemorati, degli affaristi, dei piazzisti, dei conduttori televisivi, dei voltagabbana, degli opportunisti, dei primi della classe. Me ne guardo bene.

Mi piace chi sorride – nel sorriso v’è saggezza, nel riso non sempre – e, prendendo atto che il pessimismo è più saggio che negativo, procede con imparziale (per quanto possibile umanamente) fermezza. Seminando umanità. Sorridendo. Piangendo qualche volta. Praticando gentilezza.

In tali casi mi sento di essere ottimista (come indicato all’inizio) quando incontro un pessimista capace di vivere. Perché davvero la vita è bella: perché vive, perché mostra la possibilità.

Buon sabato.

G. B.

cervellonatura

4 thoughts on “Ottimismo?

  1. Credo di essere pessimista, perché il mio bicchiere è sempre vuoto. Proprio per questo, cerco di riempirlo. E non di quantità ma di bellezza, di qualità. Credo d’essere pessimista, perché quando vedo il rosso di sera, non spero nel bel tempo del giorno dopo. Spero di esserci, il giorno dopo, per godere di qualsiasi scelta del cielo. Credo d’essere pessimista, perché quando mi chiedono come sto (quando me lo chiede qualcuno che davvero vuole saperlo) la mia risposta ha sempre a che fare non con il benessere ma con la ricerca di esso, inteso come armonia tra me e tutto e tutti. Credo di essere pessimista, perché alla fanciullina che è in me, ho insegnato a stringere forte il filo dell’ aquilone, poiché potrebbe arrivare qualcuno o un forte colpo di vento a strapparlo dalle mani. E chissà perché, le ho spesso ricordato, arriva sempre quando non lo si aspetta. Credo d’essere pessimista, al giorno preferisco la notte. Perché al buio, bisogna faticare di più per trovare ciò di cui si ha bisogno e l’eventuale urto, ricorda che siamo umani. Magari ottimisti, ottimisti al massimo, ma pur sempre umani. Credo d’essere pessimista, perché quando una cara persona muore, piango e mi strazia la sua mancanza e, scusatemi, ma non mi consola per niente l’immagine degli angeli che le corrono incontro. Credo d’esser pessimista, perché non mi auguro meravigliosi momenti, esaltanti futuri, invidiabili appagamenti ed importanti successi. Mi aspetto di essere me stessa, di dare il meglio. Di restar fedele al patto che ho stretto con la mia vita, anche quando è, e sarà difficile. Perché lo è, e lo sarà. Credo d’essere pessimista, perché non mi accomodo sul motto “domani andrà sempre meglio” ma mi infervoro ripensando che “dal letame nascono i fiori”. Perché il letame è ovunque, e il pessimista lo vede semplicemente prima. E si prepara a vincerlo, a dominarlo e a usarlo a suo vantaggio: noto solo a se stesso, ovviamente. Ma al pessimista non importa l’altrui riconoscimento e le dovute e a volte false congratulazioni: al pessimista importa solo uscirne vivo. Intero, anche se ferito. E con la testa alta, anche se la schiena è chinata in avanti. Credo di essere pessimista, sì. Perché quando riesco in qualcosa, non spreco tutte le mie energie urlando e festeggiando: so che una buona dose di queste mi servirà per affrontare alla depressione post partum che seguirà.
    Sono pessimista perché ho capito che la manna non arriva dal cielo, così, inaspettatamente: occorre andare a prendersela. Senza sgomitare, ovviamente.
    Sono pessimista: perché non do mai per scontato l’atteggiamento altrui e non nego mai la libertà agli altri di scegliere e di agire. Non pretendo né inculco astutamente il senso di colpa: per questo motivo, ho imparato a chiedere “per favore” e a ringraziare. A ringraziare anche la vita.
    Sono pessimista perché invece di grattare il biglietto del milionario, preferisco grattarmi la testa per stimolarne l’impegno e per non permettere che ceda al sonno.
    Sono pessimista perché ho imparato che sugli specchi non ci si arrampica: si scivola. Prima o poi, si scivola.
    E sono pessimista perché l’unica certezza che ho è che nulla è scontato: la vita, l’amore, l’amicizia, la verità, la dignità, la felicità, la serenità… nulla lo è: per questo ogni istante corrisponde ad un tentativo di realizzarle. Che può andar male. Ma vivere è tentare, cercare, disperare e continuare. E il pessimista, lo fa con una lucidità e con una determinazione che prende solo da se stesso, senza l’ausilio di parabole e motti e aforismi. Per questo credo d’essere pessimista: perché ad oggi, se stringo ancora quell’aquilone tra le mani è perché ho lottato contro chi o cosa ha cercato di strapparmelo e non perché qualcuno, distraendomi con un’ottimista risata, l’ha sostituito con un altro. È il mio. E con il mio pessimismo, l’ho difeso.

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    • Hai difeso il tuo pessimismo, è tuo. L’hai difeso come traccia di te, elemento identitario, personificazione dei tuoi sforzi, definizione del tuo esserci, esercizio del tuo fare. L’hai difeso, è tuo, perché in esso ci sei tu. Tu sei quel che sei: il pessimismo, a tal punto, è solo attributo essenziale della tua ontologia. Si tratta della piega del tuo sguardo onesto, non passivo, sulle cose.
      Lo hai scritto: vivere è tentare. Vivere è tentazione, aggiungerei. Ogni diavolo, dunque, è avvertito: non ha altro potere se non di tentare, ché le sue tentazioni sono i comuni tentativi di vincere la gravità che ci trattiene. Il pessimista salta come l’ottimista. Solo è consapevole che ricadrà. L’ottimista, ingenuamente, pensa forse che con un balzo giungerà alla luna. Il pessimista no: alla luna guarda con favore. Sa che la luna è là, che la terra è qui, che in mezzo sta il tentativo. E lo difende.

      Grazie.

      G. B.

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  2. Buongiorno da un’ottimista, una che fa parte di quella categoria di gente ingenua, ma non tonta come il protagomista della storiella del dito e della luna, che crede che con un balzo si possa arrivare su quella stessa luna!
    Perche’ sapete che facciamo? Abbiamo un desiderio cosi’ forte, un’immaginazione cosi’ fervida e siamo cosi’ testoni che ci inventiamo qualcosa con cui fare il balzo e sulla luna ci arriviamo davvero! 😉

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    • Buongiorno, ottimista ingenua e acuta. Chi dice che i pessimisti non siano ottimisti a loro volta?
      Chi dice che il pessimismo sia l’accesso laterale al teatro dell’ottimismo, attraversando il quale ci è noto che i tappetti e le luci hanno il controcanto negli assiti polverosi e nel cordame?
      Chi può negare che alla luna si vada solo dopo averne cantata la graziosa grazia notturna, una sera di un giorno di festa ormai tramontato?
      Per arrivare occorre balzare con ottimismo, è vero. Sapendo che nessun balzo, mai, sarà il volo che non ci appartiene costitutivamente…
      Insomma, l’ottimista balza e sogna di volare, il pessimista sa che non siamo nati per il volo, ma balza ugualmente…

      Grazie.

      G. B.

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