Un segno inequivocabile di ricchezza, di raggiunto benessere, di piena emancipazione, di potere personale, di prestigio familiare, di importanza sociale, di successo professionale: l’automobile di lusso, il macchinone, il fuoristrada (sperando di non andarci fuori strada), il suv, il mezzo lucido e nero, o rosso, veloce potente rombante, da sfrecciarci lungo strade sempre vuote, libere di mostrare la potenza del potente alla guida del mezzo scintillante. Questa, almeno, è stata (ed è ancora per moltissimi) la mitologia negativa alla quale appellarsi, nell’occidente ricco o in quello povero, “plusvalente” o precario, opulento o impoverito; questa è la miserrima aspirazione, ancor oggi, di tanti italiani medi con sogni piccoli come le rate di macchine comprate per fermarsi davanti al bar o nella piazza dello struscio e degli acquisti e delle belle donne da portare a fare un giro.
Invece no. Come ha recentemente evidenziato una ricerca condotta dall’Università della California, le cose andrebbero riviste. Dove si gira tanto in bici (questo mezzo poverello proprio di studenti senza quattrini e signore nostalgiche) le cose vanno meglio. Non solo per la salute (pedalare fa bene) ma anche per l’economia.
La scoperta (non proprio una novità) è che dove si viaggia tanto in bici, o con i mezzi pubblici, i commerci vanno meglio (le strade, popolate da ciclisti e pedoni, favoriscono le soste nei negozi; le chiacchiere, la socialità, la creatività); di conseguenza, la produttività aumenta (anche a causa della riduzione delle malattie procurate, direttamente o indirettamente, dal traffico veicolare); e il benessere, anche quello materiale, cresce.
In soldoni: incrementando l’uso di biciclette e mezzi pubblici (e riducendo le distante tra luoghi di vita, luoghi di lavoro e luoghi di studio, dunque ripensando anche la struttura urbanistica complessiva delle nostre città) si otterrebbero due semplici effetti combinati: il risparmio di 100.000 miliardi di dollari l’anno nell’intero mondo; la conseguente riduzione di diossido di carbonio mediamente immesso in atmosfera: circa 1.700 milioni di tonnellate l’anno.
Di là da simili calcoli, è impensabile continuare a viaggiare sulla nostra desueta macchina dello sviluppo – quella sulla quale siamo lanciati, rapidi e veloci, verso la catastrofe.
Sui pedali si muove il futuro, è evidente.
G. B.