Il silenzio ci coglie impreparati; è come una falce di luna estiva, come pianeti d’argento e mercurio, come cieli nel nero solstizio d’estate rimirati senza respiro: sono là da sempre e ci sorprendono ogni volta.
Il silenzio – quiete delle lusinghe e delle disonestà, sosta dei propositi, malinconia del riposo – ci sorprende e ci lascia soli con i suoi silenzi: enormi racconti mai detti, che nascondiamo con protervia per apparire forti.
Quanta paura v’è, in noi, del silenzio? Quasi fosse una catastrofe del volere, mentre è sosta dalla presunzione di potere tutto e di aver fatto il possibile; abbiamo solo bisogno di silenzio, di tenerezza, di ascolto; e forse di cominciare di nuovo, da qualche parte.
Tacere è necessario. Ci accade. Senza parole ci sembra di non avere desideri. Invece sono i desideri che, tacendo, denunciano le falsità che abbiamo commesso dichiarandoli per poi tradirli di continuo.
Aver sognato quel che si è desiderato. Non aver fatto quel che si è sognato. Infine, desiderare quel che non si è fatto.
È andata così?
G. B.
È il silenzio che segue la rottura di un vaso che cade per terra. E in quel silenzio fatto di quel che resta, si fa avanti il pensiero che, in fondo, è ciò di cui si riempie un vaso a conferirgli il valore che ha, non il vaso in sé.
È il silenzio che un treno che parte lascia dietro sé: solo l’eco del suo fischio, sempre più debole, sempre più distante. Ed è quel silenzio a ricordarci la legge delle stazioni: un treno che parte, prima o poi, arriverà a destinazione. Parte per arrivare.
È il silenzio che rimane nella stanza dopo lo sbattere di una porta. Quel silenzio di cui le mura hanno bisogno per smettere di vibrare e di cui ha bisogno chi, uscito dalla stanza, corre. Senza sapere dove, segue l’istinto e l’istinto anela verso chi è capace di ascoltare il suo silenzio.
È il silenzio delle lacrime che cadono. E non si riesce a capire dove finiscano: forse, i lividi che ci ritroviamo di colpo sulle gambe, senza saper ricondurli a possibili cause, sono i segni che le lacrime lasciano: perché il silenzio lascia il segno.
È il silenzio di un respiro tra uno squillo ed un altro, in attesa della risposta: un silenzio pieno delle parole posate sulla cornetta, già pronunciate. Ma non ancora ascoltate.
È il silenzio dell’ amarezza: un silenzio stanco e fiero, arreso e coraggioso, rassegnato e pronto a riempirsi di parole nuove.
È il silenzio che domina su un campo di calcio dopo la partita, quando sono tutti tornati a casa e sulla panchina è rimasto seduto il portiere, con tra le mani il pallone che non è riuscito a parare. È il silenzio di un desiderio che non si può confessare: ed è quel silenzio inconfessabile che aggiunge sapore alla vita.
È il silenzio che non è mai uguale ad un altro. Ogni emozione, ogni pensiero, ogni momento parla la sua lingua, silenziosa. Il suo silenzio. Quello in cui tutto riaccade, sempre, ogni volta, senza farsi sentire. Quello in cui si getta quel che resta di un vaso, si mette giù il telefono, ci si asciuga le lacrime, ci si alza dalla panchina e correndo, si insegue quel treno. Perché il silenzio che ha lasciato lungo il binario, saprà indicare il percorso che quel treno sta compiendo. È il silenzio di una voce che non si stanca. Di ripetere il suo nome.
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Il silenzio che occorre all’ascolto è il silenzio che faccio ora – indicandolo per poter dire che lo sto facendo…
Grazie.
G. B.
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