Vedo me in lui. Vorrei vedermi dappertutto. In tutto quel che è suo. Vorrei vedermi ovunque, in lui e per suo tramite, ma non sarebbe augurabile: perché chi vede solo se stesso finisce col rendersi invisibile – e col non vedere più altri oltre sé.
Sto imparando ad amare, di nuovo: lo esige senza chiedere; lo chiede senza esigere. Sta a me comprendere.
Come fare ad essere un buon esempio?
Oppure, sofisticando la domanda: cosa far apparire di sé, tanto da apparire al meglio di sé?
Temo di recitare una parte, pertanto ripeto me stesso con monotonia: mi ripeto nelle cose mie per il largo uso che ne ho fatto, nelle cose mie per storia e familiarità, nelle cose mie (che mi paiono tali) per affezione e passione. Potrebbe essere un errore, questo? Ripetersi? Non farei meglio a variare, ma con sincerità? Mi permetterebbe di esplorare altre parti di me, se non altro, dando di me non l’idea, ma la concreta espressione.
Non si è padri senza, con ciò, essere di nuovo figli: col tormento irrisolto degli uni e degli altri, credo di poter dire.
Mi riesce facile la calma e, con essa, la pazienza richiesta alla calma. Mi scopro paziente come mai sono stato; e calmo, solo con lui, come mai avrei immaginato di poter essere.
Per il resto navigo a vista, neppure immaginando quali, e quanti, venti incontrerò domani nella mia navigazione senza ritorno.
Domani, ad onor del vero, mi fa paura. Perché sarà tempo in meno. Perché sarà tempo in più.
Prometto d’esserci, e con ciò sfido gli dei e le stelle. Voglio esserci. Avrei sempre voluto esserci. Vorrei esserci per sempre.
Ecco l’umana grandezza: non poter competere col tempo, eppure accettare la sfida.
Giovanni Bongo