Ai figli 2

Vedo me in lui. Vorrei vedermi dappertutto. In tutto quel che è suo. Vorrei vedermi ovunque, in lui e per suo tramite, ma non sarebbe augurabile: perché chi vede solo se stesso finisce col rendersi invisibile – e col non vedere più altri oltre sé.

Sto imparando ad amare, di nuovo: lo esige senza chiedere; lo chiede senza esigere. Sta a me comprendere.

Come fare ad essere un buon esempio?

Oppure, sofisticando la domanda: cosa far apparire di sé, tanto da apparire al meglio di sé?

Temo di recitare una parte, pertanto ripeto me stesso con monotonia: mi ripeto nelle cose mie per il largo uso che ne ho fatto, nelle cose mie per storia e familiarità, nelle cose mie (che mi paiono tali) per affezione e passione. Potrebbe essere un errore, questo? Ripetersi? Non farei meglio a variare, ma con sincerità? Mi permetterebbe di esplorare altre parti di me, se non altro, dando di me non l’idea, ma la concreta espressione.

Non si è padri senza, con ciò, essere di nuovo figli: col tormento irrisolto degli uni e degli altri, credo di poter dire.

Mi riesce facile la calma e, con essa, la pazienza richiesta alla calma. Mi scopro paziente come mai sono stato; e calmo, solo con lui, come mai avrei immaginato di poter essere.
Per il resto navigo a vista, neppure immaginando quali, e quanti, venti incontrerò domani nella mia navigazione senza ritorno.

Domani, ad onor del vero, mi fa paura. Perché sarà tempo in meno. Perché sarà tempo in più.

Prometto d’esserci, e con ciò sfido gli dei e le stelle. Voglio esserci. Avrei sempre voluto esserci. Vorrei esserci per sempre.

Ecco l’umana grandezza: non poter competere col tempo, eppure accettare la sfida.

Giovanni Bongo

Foto: G. B.

Foto: G. B.

Trasformazione 6

Parli dell’amore. Ne parli. Dell’amore che hai udito cantare, bimbo innamorato dell’amore. Dell’amore che hai visto sbocciare, adolescente imbarazzato dall’amore.

Parli dell’amore, di quello che non hai veduto fiorire e di quello che hai ingoiato tra le lacrime.

Parli dell’amore, di quello che ti fece imbarazzare; di quello che tacesti, vergognandotene; di quello “colpevole”, che ti dissero non avresti dovuto provare.

Parli dell’amore; di quello rude, che amore mai non è; di quello precoce, che è fretta di arrivare più che di essere in sé.

Parli dell’amore, battito d’ali e vertigine e vuoto: occhi languidi persi a frugare su soffitti bianchi.

Parli dell’amore, combattuto tra Venere Celeste e Venere Volgare: confuso se essere platonico o cinico, etereo o carnale.

Parli dell’amore: di quello di libri resi illeggibili da scuole ottuse.

Parli dell’amore, di quello che ti faceva sentire in sua compagnia come se lei (lui) potesse vederti anche in assenza.

Parli dell’amore, di quello per il quale avresti rinunciato a esser volgare o a commettere “atti impuri” – e che bugie hai dovuto inventare per nascondere la tua imperfezione.

Parli dell’amore: ti faceva sentire migliore. Ti ha fatto ridere. T’ha fatto piangere.

Parli dell’amore?

Parlane.

Quale amore hai conosciuto? Quale amore ti è stato insegnato da facce poco oneste?

Chi ti ha insegnato l’amore, chi t’ha detto di amare – spergiurando sulla natura del sentimento che a mala pena conosceva?

Cos’è, questo amore di cui tutti parliamo? Cosa è, amore?

Lo hai compreso?

Amore non è insulto. Di sicuro amore non degrada. Inoltre amore non offende, neppure per gioco. Amore non è falso, ma non per questo evita di mentire: è vero senza brutalità; talvolta nasconde, qualche volta deve omettere.

Amore ascolta, se è amore. Ascolta sempre. Senza giudicare e perfino quello che non dici.

Amore non urla. Amore non picchia. Amore non sceglie al tuo posto e non impone.

Amore non comanda. Amore non tormenta. Amore non dà vergogna.

Amore non smette d’amare per una sciocchezza fatta passare per sacralità solenne e imperiosa. Amore non crocifigge né manda all’inferno.

Se amore si trasforma, non svanisce – semmai cambia.

Amore non decide chi sei al tuo posto, semmai ti chiede d’essere al tuo posto.

Amore non profitta delle tue fragilità. Amore non ti rigetta contro quel che tu hai confidato, per amore, facendo fiorire un segreto pesante come una roccia.

Amore non perdona perché, semplicemente, amore non condanna.

Esiste, un simile amore? Lo hai amato, un simile amore? Hai amato, di un tale amore? Sei stato amato, con questo amore?

Continua a cercare. Cammina. Renditi degno di un simile amore, amando te stesso in modo degno.

Giovanni Bongo

Foto: G. B.

Foto: G. B.

Corri!

Hai ogni facoltà. Piedi, mani, occhi. Dunque corri. Non esitare. Non fermarti. Non star fermo.

Corri. Respira forte. Guardati attorno. Suda. Ansima. Corri.

Sei vivo. Sei vivo? Sì, lo sei per il fatto di rispondere. Corri.

Guardati attorno. Hai piedi e mani. Hai gambe e braccia. Sei tutto intero. Corri. Come per lodare il cielo.

Come per lodare la fortuna di avere ogni facoltà. Corri.

Potresti rimpiangere di non averlo fatto. Potresti rimpiangere i tuoi piedi, le tue mani, il tuo sguardo. Non indugiare. Corri.

Non perdere tempo. Non prendere tempo. Si prende quel che si perde, si perde quel che si prende. Si ha solo quello che si è. Si ha quel che si fa. Si è quel che si vive. Non conservare per la stagione migliore. Non investire per il tempo che verrà. Sii laborioso come formica e allegro come cicala.

Non attendere. Corri. Ora. All’ora che vuoi. Corri. Non è per dirlo in metafora. Semplicemente, esci e corri. Fino allo sfinimento. Fino a non poter parlare. Fino a trovare il passo costante, il respiro resiliente, il ritmo in te presente. Presente è il vivo. Vivo è il presente.

Corri. Corri. Corri…

G. B.

Foto: G. B.

Foto: G. B.

Quando Esisto

Quando scrivo necessito di un’isola inaccessibile dalla quale inviare i miei messaggi in bottiglie da affidare allo zelo delle correnti. Non fosse che le correnti sono sempre impreviste, proprio come ogni caso necessario: quantico, fisicamente indeterminabile.

Quando cammino so di essere parte del tutto, ma non sento di essere tutto in una parte.

Quando affermo immagino di poter dire il contrario.

Quando nego immagino di poter dire il contrario, affermando.

Quando dubito so di essere nel giusto – nel giusto dubitando, non di dire il giusto col mio dubbio.

Quando ho paura mi pare di essere parte della mia essenza, che contempla la paura.

Quando non voglio fare quel che mi costringo a fare so di non fare quel che faccio – ma solo di fare finta di farlo.

Quando voglio fare quel che mi costringo a non fare so di mentire.

Quando mento sapendo di mentire so, almeno, di dire la verità (a me stesso) sul fatto di stare mentendo.

Quando dico il vero, incurante del fatto che a qualcuno potrebbe non interessare, immagino di essere un profeta.

Quando dico il vero, incurante del fatto che a qualcuno potrebbe far del male, so di essere violento.

Quando faccio ipotesi io faccio ipotesi.

Quando credo che le mie ipotesi siano vere, in assenza di prove, io sto alimentando un pregiudizio.

Quando sono spregiudicato io sono leggero.

Quando sono leggero sono lieto.

Quando penso io non so, necessariamente, che esisto.

Quando esisto io so che devo pensare.

Quando esisto io penso.

Quando esisto io esisto.

Quando esisto lo posso dire perché esisto.

Quanto esisto posso dire di esistere.

Quando esistiamo possiamo riconoscerlo – di fatto riconoscendoci e dandoci dignità.

G. B.

Foto: G. B.

Foto: G. B.

Giovanni Bongo

Trasformazione 5

Sai di non aver terminato il tuo cambiamento. Lo si sa sempre, in questi casi. Ti hanno posto la scelta, più volte, tra l’essere e l’avere. Vorresti rispondere loro, senza esitazioni: sii il tuo avere, abbi il tuo essere.

Ne usciresti indenne e vittorioso. Fosse semplice, però, non dovresti neppure porre a te stesso il dilemma. Ti basterebbe essere il tuo avere e avere il tuo essere.

Le domande non si dissolvono; i dilemmi non scompaiono. Riappaiono, differiti e a distanza di decenni, in altre forme – nelle sembianze che assume, per tuo tramite, il tempo.

I tuoi dilemmi di figlio sono, oggi, i tuoi rovelli di padre. Quel che facesti non sai più come fare a sostenere.

Ecco tutto: si tratta di risolvere oggi i quesiti di ieri. Senza alcuna esperienza, né allora né ora, di quel che significa essere quel che si è stati o quel che si sarà, dal momento che di volta in volta si è solo quel che si è, in perfetta ignoranza di passato e futuro, in piena cecità, in piena debolezza, aprendo lo sguardo poco alla volta; temendo di fallire, ora come allora, per non essere in grado di avere una visione più ampia. Non è in gioco la “scialba ragione”; non solo quella almeno. In questione è il tuo intero essere.

Di nuovo, il mutamento esige un abbandono. L’abbandono di ogni indugio, di ogni peso incessante, di ogni inferma verità.

Vorresti essere altro, e non puoi. Vorresti essere un altro, ma non vuoi se non essendo te stesso di nuovo. Ti muovi nella notte dello spirito. Rallenti. Fino quasi a fermarti.

La crisi: eccola qui. Non altro se non perdita di senso, perdita di scopo, perdita di interessi, perdita di volontà. Che fare, chi essere, come agire?

Non un farmaco né una sola parola possono salvarti. Ci vorrebbero ambrosia e poemi – e non basterebbero neppure.

Ci vuole amore in dosi illimitate, senza condizioni, tanto forte da abbracciare i mari, tanto solido da frenare le tempeste.

La parola che cerchi, senza neppure avvedertene, è amore. Non fosse che ami come hai imparato. Tutti amano come sono stati amati. E talvolta non basta né è forte, un simile amore. Spesso conosciamo soltanto un amore capriccioso, incostante, incerto. Oppure un amore fatto di possesso, concessione, alterigia.

Per trasformarsi occorre imparare ad amare. Amare come si ama tra amanti divini. Con distacco ma senza sciatteria. Con libertà ma senza arbitrio. Con forza ma senza violenza. Con passione ma senza dominio…

Il mutamento esige amore. Che tu voglia amare. Che tu torni ad amare te stesso. O che, addirittura, tu lo faccia per la prima volta…

Giovanni Bongo

cielo-stellato