Mi aspetto che un dietologo non sia sovrappeso. Mi aspetto che un dentista abbia i denti puliti. Mi aspetto che un medico non fumi. Mi aspetto che un prete non prenda (non voglia neppure) la roba d’altri.
Mi aspetto che un insegnante accetti di essere giudicato con lo stesso metro che usa per giudicare. Oppure, mi aspetto che un insegnante non giudichi affatto: così da non volere per altri nulla di quel che non vuole per se stesso; così da essere maieuta e non censore.
Mi aspetto che un giornalista abbia delle opinioni, certo, e che le esprima e le dichiari; ugualmente, mi aspetto che un giornalista onori i fatti, li esplori, li racconti senza pregiudizi e li giudichi dal canto suo: ma che non li stravolga per il canto del potente incantatore.
Mi aspetto che uno psichiatra ascolti, non limitandosi a spacciare droghe legalizzate; e mi aspetto troppo, perché la psichiatria è, in essenza, spaccio di droghe legalizzate. Mi aspetto che la cura non sia obnubilamento e che a un depresso col cuore spezzato si dia un balsamo del cuore e non uno stabilizzatore della dopamina. Mi aspetto che la cura sia parola; e che la parola si faccia carne.
Mi aspetto che un ristoratore prepari cibi di eccellente qualità e che non me li faccia pagare quasi fossero d’oro, non di grano e pomodori e formaggi.
Mi aspetto che un idraulico mi faccia pagare il giusto conto, non che mi faccia scontare il fatto di non essere, io stesso, un idraulico.
Mi aspetto che un giudice sia probo, equo, leale verso la legge e giudizioso verso gli uomini; non che sia un nano vendicativo pronto solo a condannare con livore.
Mi aspetto che chi ama lo faccia rispettando l’amato, l’amata; senza imporgli, imporle, alcuna legge propria – chiamando tale legge col nome di verità. La verità fa male solo quando è arbitrio vestito da legge.
Mi aspetto che un amico sia onesto, non crudele; che un amico sia sincero, non spietato; che un amico non sovrapponga se stesso (o il suo passato) all’amicizia, addebitandomi il peso delle sue premure irrisolte e facendomele pagare con moneta incolmabile: nessun debito è eterno, e per ogni debito c’è un democratico “no” da dire con ferma dolcezza.
Mi aspetto che un politico sia un amministratore del bene e non uno scommettitore del caso.
Mi aspetto che il bene trionfi, che il merito sia premiato, che la terra sia onorata, che le acque siano limpide, che i boschi siano verdi, che i fiori siano floridi, che gli scrittori siano letti, che i lettori siano attenti, che i bambini siano amati: mi aspetto una fiaba, ma so che non è inganno bensì orizzonte.
Mi aspetto che io sia all’altezza delle mie attese. Ovvero, mi aspetto che io sia l’attesa che attendo ma che non sia vanità, bensì impegno e, nel limite del possibile, che io sia il compimento di parte delle mie altezze.
Mi aspetto, con ciò, di poter sbagliare in buona fede. So, per tale verso, che un errore commesso in buona fede non è meno dannoso, ma solo meno colpevole.
Mi aspetto di poter meritare. Mi aspetto di poter provare. Mi aspetto di poter osare.
Mi aspetto di poter rischiare. Mi aspetto di non ingannare – in nome dell’attesa – né me, né altri, né il tempo.
Giovanni Bongo
Mi aspetto di essere solo una tra i molti che aspettano ancora qualcosa. Mi aspetto di avere sempre dei significati da esprimere attraverso le parole. Mi aspetto che questa assurda musica si spenga all’ improvviso: per vedere se questa gente è capace di muovere altri passi che non siano dettati da tristi coreografie.
Mi aspetto di leggere libri sui quali emozionarmi, opere davanti alle quali elevarmi, teatri e cinema all’ interno dei quali deliziarmi e rattristarmi: sono i due effetti della verità espressa senza ipocrisie.
Mi aspetto di vivere ancora la trepidazione del desiderio, quello di qualcuno che sia capace di soddisfarlo senza estinguerlo: il desiderio è il brivido che ravviva il sentimento ogni giorno, ogni giorno in modo diverso.
Mi aspetto di non dover più dire “non me l’aspettavo”, scappando da chi o cosa mi ha delusa. Mi aspetto di non dimenticare mai i miei sogni: sarebbe come dimenticare il mio stesso nome. Mi aspetto di trascorrere notti tranquille ma interrotte da insonnie portatrici di emozioni e ricordi e aspettative: quelle di cui ho riempito il tetto del mio letto, fissandolo nel buio.
Mi aspetto di non venire a sapere dell’ avvio dell’ennesimo corso di legittima difesa, pensato per le donne: ma che se ne organizzi un gran numero di educazione al rispetto, pensato per gli uomini.
Mi aspetto di avvertire sempre quel senso di vertigine, quel senso di vuoto, quel senso di irrequietezza che conosco così bene: che noia sarebbe il contrario.
Mi aspetto di non piangere sul latte versato: ma di usarlo per brindare con bambini e bambine a cui poco importa dei baffi che questo crea sul loro volto.
Mi aspetto di non trovare in fondo al mio cuore le parole che avrei dovuto e voluto e potuto pronunciare. Perché quella di aspettare, non è sempre la giusta scelta, la giusta azione.
Mi aspetto di aspettarmi tanto da me: inteso come intensità, valore, autenticità. Mi aspetto di saper aspettare e di fare delle mie attese, periodi validamente fecondi.
Mi aspetto di ritrovarmi ancora a dire, a scrivere, a ricordarmi quello che mi aspetto.
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Mi aspetto di leggere quel che hai da dire. Mi aspetto di dire quel che ho da dire…
Mi aspetto di far meglio. Forse mi spetta… Anzi, direi che è così.
Grazie, Deborah…
G. B,
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