Parli dell’amore. Ne parli. Dell’amore che hai udito cantare, bimbo innamorato dell’amore. Dell’amore che hai visto sbocciare, adolescente imbarazzato dall’amore.
Parli dell’amore, di quello che non hai veduto fiorire e di quello che hai ingoiato tra le lacrime.
Parli dell’amore, di quello che ti fece imbarazzare; di quello che tacesti, vergognandotene; di quello “colpevole”, che ti dissero non avresti dovuto provare.
Parli dell’amore; di quello rude, che amore mai non è; di quello precoce, che è fretta di arrivare più che di essere in sé.
Parli dell’amore, battito d’ali e vertigine e vuoto: occhi languidi persi a frugare su soffitti bianchi.
Parli dell’amore, combattuto tra Venere Celeste e Venere Volgare: confuso se essere platonico o cinico, etereo o carnale.
Parli dell’amore: di quello di libri resi illeggibili da scuole ottuse.
Parli dell’amore, di quello che ti faceva sentire in sua compagnia come se lei (lui) potesse vederti anche in assenza.
Parli dell’amore, di quello per il quale avresti rinunciato a esser volgare o a commettere “atti impuri” – e che bugie hai dovuto inventare per nascondere la tua imperfezione.
Parli dell’amore: ti faceva sentire migliore. Ti ha fatto ridere. T’ha fatto piangere.
Parli dell’amore?
Parlane.
Quale amore hai conosciuto? Quale amore ti è stato insegnato da facce poco oneste?
Chi ti ha insegnato l’amore, chi t’ha detto di amare – spergiurando sulla natura del sentimento che a mala pena conosceva?
Cos’è, questo amore di cui tutti parliamo? Cosa è, amore?
Lo hai compreso?
Amore non è insulto. Di sicuro amore non degrada. Inoltre amore non offende, neppure per gioco. Amore non è falso, ma non per questo evita di mentire: è vero senza brutalità; talvolta nasconde, qualche volta deve omettere.
Amore ascolta, se è amore. Ascolta sempre. Senza giudicare e perfino quello che non dici.
Amore non urla. Amore non picchia. Amore non sceglie al tuo posto e non impone.
Amore non comanda. Amore non tormenta. Amore non dà vergogna.
Amore non smette d’amare per una sciocchezza fatta passare per sacralità solenne e imperiosa. Amore non crocifigge né manda all’inferno.
Se amore si trasforma, non svanisce – semmai cambia.
Amore non decide chi sei al tuo posto, semmai ti chiede d’essere al tuo posto.
Amore non profitta delle tue fragilità. Amore non ti rigetta contro quel che tu hai confidato, per amore, facendo fiorire un segreto pesante come una roccia.
Amore non perdona perché, semplicemente, amore non condanna.
Esiste, un simile amore? Lo hai amato, un simile amore? Hai amato, di un tale amore? Sei stato amato, con questo amore?
Continua a cercare. Cammina. Renditi degno di un simile amore, amando te stesso in modo degno.
Giovanni Bongo
“Dunque ci sei? Dritto dall’ attimo ancora socchiuso? La rete aveva un solo buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo. Ascolta come mi batte forte il tuo cuore.”
Ne parlo. Comunque, in ogni caso, torno a parlarne. Perché torna lui. E mi chiede di parlarne, di parlargli. Eppure, era tutto ben chiuso, serrato. Niente: me lo son ritrovato con i suoi primi respiri, i suoi primi deboli battiti. Me lo son ritrovato vicino, troppo. Ancora una volta. Impedimenti, ne avevo trovati cento per non farlo entrare: e lui, invece, si sarà servito di un istante di distrazione, o è entrato mentre dormivo. Non so. Neanche stavolta saprei dirlo. Ma so che c’è. Per questo ne parlo. Non posso non farlo. Come ha fatto? Sarà scivolato tra un passo e l’altro della lancetta che segna i secondi, avanzando inosservato dal tempo. Sarà riuscito ad appiattirsi e a passare sotto la porta, si sarà trascinato tra valige da riempire, ceste di libri e la chitarra, fino ad arrampicarsi sulle lenzuola e raggiungermi, nel mio assopimento. Si sarà nascosto nel nero del primo caffè della giornata, tra le note di quella vecchia canzone, in mezzo alle pagine dell’agenda lasciata a casa per non doverne rispettare i contenuti. È possibile. Tutto è possibile, a lui. Come si può tacere? Come si può tacerlo? Parla da sé. Con parole che la mente, no, non ha pensato e che, no, non stanno venendo fuori dalla bocca. Come un doppiaggio venuto male. Il movimento della bocca è vuoto, perché ciò che lui aveva da dire, l’ha detto a suo tempo. Nel tempo a lui gradito. Senza chiedere il permesso. E quando sono giunta, quando eccomi, ci sono… ecco che tutto é già accaduto. Tutto è stato provato e pronunciato. Chi doveva parlare, lo ha già fatto. E non resta che ascoltare l’eco di quella voce che risuona, e risuonerà ancora. E non resta che parlarne: per discolparsi, per negarlo, per ammetterlo, per cercare di mutarne le parole e gli effetti. Ad ogni modo, se ne parla anche se le promesse fatte a se stessi, dicevano e prevedevano altro. Lo desideravano. Ci speravano. Un’altra sorpresa. Proprio da lì, sì. Proprio ora, sì. Ogni posto, ogni momento, in fondo, sarebbe stato una sorpresa. Inutile parlarne, quindi. Occorre parlargli. A lui, direttamente. Ed ascoltarlo. E con lui, ascoltare come batte forte quel cuore, qui, ora.
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Furtivo, fortunato, sfrontato, forte. Ecco l’amore, che a tutti giunge e a tutti parla; passione, irrazionale e debole e malconcia: mancanza e opportunità, mito e convivio, assenza e prepotenza.
Eppure, l’amore che non è amore è simile ad amore.
I miei dubbi non cessano, Deborah.
Grazie.
G. B.
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