Sono meno di me. Ora mi è chiaro. Come l’acqua che scruto dall’alto e che fragorosa scende a valle, fino a perdersi tra le fronde, i salti, le rocce. Non ne vedo l’origine né lo sbocco, questo è il punto. Non vedo nulla di questo possente fiume dalle misure intatte e perfette. Non vedo origine e sbocco. Infatti rimiro solo il tratto di acque alla mia portata: la portata del fiume che vedo è alla mia portata, questa è l’ironia. Dunque (mi dico con logica apparentemente uguale) tutto sarebbe potuto essere alla mia portata, se soltanto mi fossi stimato di più e avessi detto, un giorno lontano, io sono come me. Invece, oggi constato che sono meno di me. Perché avrei potuto avere di più: e non ne faccio una questione di calcolo e quantità, ma di effettività della mia essenza.
Al ciliegio non chiediamo di darci delle noci; saremmo dei folli a pensarlo. Ebbene, a noi stessi chiediamo invece il contrario di quel che siamo. Ecco cosa intendo dire, io, quando affermo che alcuni sono meno di sé stessi e che io sono meno di me. Ho dato altri frutti. Non ho dato, non del tutto, i miei frutti.
A tal punto la constatazione mi obbliga ad altre analisi, che il fiume addolcisce col suo incedere costante, ora rapido ora placido, in questa valle percorsa da un vento secco, caldo, delicato. Non potrei essere più felice. Cammino. Sono con chi amo. Sono dove amo stare. Il cielo è azzurro. Gli alberi sono mossi senza troppa lena da un vento amichevole. Il fiume è limpido – come vorrei che fossero chiare tutte le cose del mondo.
Perfino io, tanto irascibile con me medesimo, mi sento momentaneamente appagato. Non fosse che in me si è insinuata l’idea che sono meno di me. Sono meno di me. Non vorrei essere di più. Vorrei essere tutto mio. Vorrei essere come sono. Come non sono stato. Come ho temuto di essere. Come merito di essere. Come sono. Eppure non sono del tutto – e provo ad essere.
Giovanni Bongo