Un ciclista e un modulo trainabile con 12 posti a sedere, occupati da 12 felicissimi bambini. La pedalata è assistita, il conducente non fatica chissà quanto, il percorso è sicuro. In tal modo in Svezia si è inaugurato un servizio di trasporto (a basso impatto ambientale) di sicura efficacia e di grande bellezza.
La bicicletta è socialità, discorso, percezione non frazionata della continuità spaziale e temporale.
Le automobili, al contrario, separano perfino chi in esse viaggia insieme; e se è vero che riparano dagli elementi, da un certo punto di vista segregano: perché escludono dalla percezione fisica dello spazio inteso come fatto di cui si è, materialmente, parte.
Ognuno per sé, nelle auto, si vive in disparte: col proprio stereo, col proprio silenzioso ruminare pensieri in linea con l’ossessione del tempo abbreviato, con la propria mano che, furtiva sullo schermo piatto di un telefono piatto, cerca di digitare messaggi acuti in giornate già spianate dalla noia della prevedibilità routinaria.
La bici, invece, è vento in faccia, percezione della temperatura, adesione alla presenza.
I bimbi che vanno in bici a scuola sono, così, partecipi del loro stesso transito e consapevoli del loro spazio, perché immersi nella danza ondulatoria del loro tempo: e si guardano attorno, ridono intorno alle cose, gioiscono del paesaggio mutevole che sfiora il loro sguardo mai fermo, mai pago.
Un ciclista, un modulo trainabile con 12 posti a sedere, 12 felicissimi bimbi con caschi di sicurezza e occhi sgranati come fiori.
In Svezia, Danimarca, Olanda si ipotizza (e si pratica così) un nuovo modello di viabilità.
Niente suv in doppia fila, nessun padre nervoso e alla moda, nessuna madre alla moda e nervosa, né nonni affaticati (e tutto sommato soli) con le loro rare bici fuori moda al seguito; niente file, strombazzate, vociare inconsulto; niente che non sia essenziale; niente adulti che si guardano attorno con l’occhio sul proprio abbigliamento e sul narciso che stentatamente portano sulle spalle; niente adulti concentrati sulle priorità, gli appuntamenti e una feroce necessità di far presto.
Una ciclista, col cielo grigio e una temperatura che da noi farebbe imbavagliare molti bimbi con sciarpe d’altura; spazi verdi e puliti, città dalle geometrie perfino monotone, non fosse per la complessità che spesso è celata nella regolarità.
Un ciclista o una ciclista, un’idea allegra dello spazio, un’idea lieve del futuro; di un futuro da tutti praticabile (specie dai bimbi d’oggi) e non più fondato su consumi a quattro ruote ed effimere crescite del PIL o della curva del debito.
Dobbiamo rivedere criticamente i nostri modelli di trasporto; e ancor prima, dobbiamo modificare la percezione di quel che significa, per noi, traversare lo spazio con i nostri figli e in vista delle loro vere necessità.
G. B.