Le caverne

Non posso credere che siamo usciti dalle caverne (del paleolitico o del mito platonico) per rifugiarci negli ipermercati, nei centri commerciali, nelle aree attrezzate con poco verde e molti marchi multinazionali.

Non posso accettarlo, ma le cose stanno davvero così per tantissimi.

Le famiglie, le coppie di fidanzati, i single in cerca di avventure, i nonni un po’ perplessi, i nipoti un po’ depressi: tanti passano le domeniche tra un acquisto e un caffè, un pranzo a pochi euro e una bevanda bevuta durante la lunga fila fatta attendendo il proprio turno alla cassa.

Cucine in miniatura, tutto per il giardinaggio, tutto per fare da soli, tutto a metà prezzo, tutto per il salotto, tutto per il bagno. La multinazionale svedese, quella francese, quella americana, quella per lo sport, quella per il bricolage, quella per l’intimo, quella per le scarpe; e in mezzo noi, a girare come anime depredate nei gironi infernali (paradisi artificiali?) delle labirintiche superfici concepite (da noti architetti?) per farci comprare qualcosa, anche qualcosa di modesto, prima di guadagnare l’uscita (ecco il guadagno, certe volte, ovvero la fuga), prendere una boccata d’aria, infilarci in auto e tornare, lenti e sfiniti, nelle nostre case.

Ho una versione migliore della intera prospettiva: giardini curati; biciclette; piccoli chioschi sulla linea di un parco; commerci utili, mercati sensati, scambi ecologici; giochi all’aperto, una panchina con un tizio e il suo libro; passeggiate, due che si amano (con pudore) ai piedi di un albero, due che entrano in gelateria, due che comprano quello che davvero gli serve per pitturare (da soli) i muri di casa.

Per farla diversa, un’esistenza vuole un’azione differente. Come fare?

Io faccio così.

  1. Conto periodicamente (è impresa gigantesca) tutto quello che ho in casa. Di tutto quello che non uso da più di un anno, faccio sinceramente a meno; di quello che non uso da 6 mesi, faccio l’analisi logica chiedendomi: serve? A esame ultimato, trattengo solo quello che mi serve ogni giorno, ogni settimana, al più ogni 15 giorni.
  2. Quando apro il frigo, valuto: cosa c’è dell’anno scorso, dentro? Cosa del mese scorso? Quanti sono i doppioni? Quanto rischia di essere buttato via? Svuoto e ripulisco, periodicamente, ogni ripiano. Metto avanti tutto quello che ha scadenza breve, dietro il resto. Su ogni ripiano pongo i generi assimilabili per tipologia e usi: i formaggi con i formaggi, la frutta con la frutta e così via. Compro solo l’essenziale, ovvero quello che sono in grado di consumare ogni tre o quattro giorni. Quindi, faccio la spesa ogni tre giorni, compro beni di stagione, possibilmente locali, possibilmente freschi e biologici. Coltivo il resto. Tutto quello che non posso consumare, lo avvio al compostaggio (fatto in giardino) oppure lo offro alle galline. Non ho ancora azzerato gli sperperi. Il mio impegno è netto.
  3. Compro quello che serve davvero quando davvero serve: ho bisogno di un nuovo paio di scarpe per l’autunno e l’inverno, non di un nuovo telefono cellulare (ce l’ho già) o di una nuova serie di piatti.
  4. Frequento (di rado, ma tutto sommato volentieri) i mercati all’aperto, rionali, settimanali, periodici; vado nelle piccole botteghe; parlo coi bottegai, suscito relazioni.
  5. Sto eliminando l’usa e getta; compro prodotti sfusi; uso le sporte di tela per la spesa.
  6. Quando ho una irrefrenabile voglia di acquistare qualcosa (quasi mai), mi chiedo: ne ho davvero bisogno? Oppure sto cercando di rispondere ad un’altra urgenza con un vano surrogato?
  7. Esco, molte volte, senza soldi in tasca e passeggio con un amico, un’amica, i miei cari, parlando di ciò che mi sta a cuore, di quel che mi preoccupa. Ascolto profondamente…
  8. Converso e dialogo volentieri: non al telefono, non per chat, non tramite social. Ho bisogno di stare con chi mi parla. Siamo corpo. Non siamo “I like this” o faccine da spargere qua e là. Uso i social network in ragione dell’incontro e non del distanziamento.
  9. Pedalo il più possibile: in tal modo scongiuro la tentazione (che di rado mi coglie) di andare al più “vicino” centro commerciale (a 15 km da casa) ed evito di caricarmi di cose ingombranti e totalmente superflue. Del resto, pedalando non potrei fare diversamente…
  10. Leggo. Non respingo la noia, la accolgo come una occasione per capire chi sono. Leggo nel silenzio di casa, nel soffice vociare di un parco, nel rumoroso andirivieni di una stazione, all’ombra di un grande leccio o sul limitare di una spiaggia. Leggo ovunque ci sia spazio per farlo. Leggo e capisco cosa ci ha spinti a lasciare le caverne…

Gli acquisti, il possesso, la preoccupazione per il possesso, l’ansia per gli acquisti: è per questo che siamo usciti dalle caverne? Io amo entrare nelle caverne e nelle grotte: forse perché mi ricordano chi fummo, chi potremmo tornare ad essere, cosa voglio evitare di diventare. Forse perché sono il grembo apparente della più profonda verità della Terra.

G. B.

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