Luci. Lampioni. Panchine, poche. Strade, incroci, altre strade, altri incroci. Gente che va. Passo spedito di gente che va da qualche parte. Automobili, moltissime. Autobus, lenti o rallentati. Moto, motocicli. Rumore, molto, spesso per nulla. Comitive chiassose, comitive silenziose. Tavolini del bar su marciapiedi stretti stretti. Calici vuoti, bicchieri pieni, coppie tristi, anziani allegri, anziani soli.
Vetrine, negozi, botteghe: vetrine piene, vetrine allettanti, vetrine uguali ad altre. Kebab, sushi bar, bar. Intimi, molto intimi, intimo moda, moda che intima di essere alla moda.
Cammini, non ti guardi attorno, vedi solo cose già viste, vedi cose già viste e per la prima volta ti paiono consistenti. Affanno, molto rumore, di nuovo trepidazione.
Commerci, palesi ingiustizie fatte di stracci, lussi superbi malamente indossati.
Cinema, locandine, angoli di strade bui, angoli chiari, angoli sporchi. Bici, poche, molte; dipende. Piste ciclabili, strisce pedonali, porte antiche, basolati, mattonati, asfalto.
Un refolo di vento, i capelli mossi, un raro albero accarezzato. Alzi gli occhi, ti chiedi a cosa tutto serva: la vita va comunque come va. Il pianeta ruota. La gravita trattiene l’atmosfera. Tra un secolo, due o tre tutto muterà e sarà l’eguale. Tanto affanno, ruoli indossati con cura come maschere, valigette professionali, sorrisi di cortesia al banco del caffè elegante in centro.
Il vento corre, gli uccelli cantano, la vita esuberante continua il suo corso; il Pianeta soffre, il Pianeta guarirà. Noi, frattanto, cosa avremo fatto delle nostre vite?
G. B.