P. P. P.

Come camicia sporca, lacera, color sangue.

Come jeans sgualciti.

Come stivaletti infangati.

Come volto illeggibile, nome infangato, morte infangata nel giorno dei morti ammazzati.

Come desolazione, silenzio, incomprensione. Come rifiuto e santificazione postuma per borghesi in libreria.

Come tutti questi anni letti molti anni prima: come fu e come ancora siamo.

Come disse:

“Mostrare la mia faccia, la mia magrezza –
alzare la mia sola puerile voce –
non ha più senso: la viltà avvezza

a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce”.

G. B.

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4 thoughts on “P. P. P.

  1. Ed ho aspettato di crescere a sufficienza prima di leggere i suoi libri.
    Per non profanare le sue parole con la superficialità da lui stesso denunciata.
    Ho aspettato di conoscere il mondo di cui sono parte prima di ascoltare il suo lucido risentimento. Per non confonderlo con le ovvietà di cui tanti sono stati capaci.
    Ho aspettato di sfogliare con degna maturità le pagine di Storia e Storie che raccontano di abusi e oppressioni e violenza e solitudini. Per capire la sua inequivocabile chiarezza, la sua spietatezza nel non lasciare nulla all’immaginazione la quale rischia di camuffare la realtà, e per comprendere il significato profetico delle sue parole.
    Ho aspettato prima di avvicinarmi a lui. Forse perchè sapevo che una volta conosciuto, il mio sguardo sulle cose sarebbe cambiato, divenendo più serio e consapevole. Più esigente di verità.
    Ho aspettato. Ho aspettato di esser degna di conoscere la sua “Storia Sbagliata”.
    E di esser capace di capire cosa ha voluto trasmettere quando ha detto che “ la morte non è nel non poter più comunicare, ma nel non poter piu’ essere compresi”.

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    • V’è qualcosa di solitario, di irriducibilmente personale, nella comprensione.
      Ho scritto “Personale” con riferimento alla maschera (personam) di cui ognuno di noi si dota (o viene fornito) al momento della sua comparsa nel mondo.

      Se hai scelto, personalmente, di comprendere Pasolini, di leggere ogni opera possibile, di startene sola in casa (o in un parco metropolitano) a consumare (leggi vivere) il tuo tempo leggendo è per via di quell’amore alle cose che, “pasolinianamente”, è ragione stessa di vita e di dignità.

      Come osservi tu stessa, occorre rispetto per l’opera e per gli uomini; dunque bisogna attendere, alle volte, prima di accostarsi all’uomo e alle opere.

      Viviamo in un periodo storico totalmente (o quasi) privo del senso dell’attesa: l’imperativo consumistico è “fai tutto ora”; ora è da intendersi come “tutte le volte che vuoi”.

      Ho già visto esporre le luci natalizie, il giorno di ognissanti. La morte è veicolo di orgasmi commerciali quanto lo è la nascita. Il giorno dei morti compaiono i festoni natalizi.

      Anche di Pasolini ho visto le riduzioni commerciali in vetrine dal richiamo estetizzante.

      Io ho scelto di sottrarmi a tale imperio delle cose, delle merci e dei consumi – per quanto in mio potere.

      Il mio potere è lottare contro il Potere.

      Come corsari, dunque, proviamo ad amare e a comprendere…

      Grazie, come ogni volta…

      Giovanni Bongo

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  2. I festoni natalizi il due novembre. Perché si ha paura: paura della morte e paura che date e luoghi ricordino il destino che accomuna tutti e tutte. Perché sul calendario novembre viene prima di dicembre per permettere di pianificare cenoni, di organizzare incontri e di schiarire la voce con cui pronunciare le belle parole, quelle di sempre. Quelle che si ripetono ogni anno, che ritornano come ritorna, ogni anno, il due novembre. Come ritorna ogni data, ogni anniversario, ogni occasione ideale per (s)vendere idee insieme a ciò che resta di litri di sangue avvelenato dall’ipocrisia e dalla vigliaccheria. I festoni natalizi il due novembre. Perché non è mai troppo “già?!” per rallegrarsi, per fare del romanticismo, per accendere candele e luci che (ahimè o meno male?) non illuminano comunque gli spazi oscuri dell’anima. Perché non è mai troppo presto per correre, per scappare alla ricerca di qualcosa da ingerire o da iniettarsi, sperando in un effetto placebo che duri almeno fino al prossimo dicembre. E perché non è mai troppo novembre, troppo autunno, troppo ancora lontano dai giorni in cui tutto è possibile, per esprimere desideri. Condivido il tuo pensiero. E ti ringrazio per l’ulteriore riflessione che hai suscitato. E se ho espresso anticipatamente una critica, battendo anch’io sul tempo, l’ho fatto perché credo che la forza delle idee e della parole è l’unica che non deve render conto a nessun “già?!”. L’unica che, azzardando una previsione, è profezia e non sterile smania. Come Pasolini insegna ancora. Vincendo il tempo, anche fuori dal tempo.

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    • La paura è merce, nella Società Artificiale in cui oggi viviamo; ed è merce per via di un rozzo malinteso, ovvero perché non temiamo qualcosa bensì temiamo di poter temere qualcosa e dal timore fuggiamo verso il balsamo (analgesico) della compravendita di cose che mai sono qualcosa e sempre al posto di qualcosa se ne stanno…

      G. B.

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