Anno nuovo?

Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi? 
Passeggere. Almanacchi per l’anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo? 
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest’anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe. 

Giacomo Leopardi

 

Patetici, insolenti, fragili. Pronti a bruciar vecchie carte, rompere piatti, dar fuoco a fuochi effimeri come fuochi fatui; pronti a eleganti cene di gala, orge di cibo,  orge di sensi assopiti da continui richiami ai sensi; pronti a ebbrezze e scherzi, a primi bagni gelidi e secondi piatti con contorni caldi. Pronti a tutto, ancora una volta, come ogni volta, per ingannare il tempo che va e che crediamo possa, col suo passo inesorabile, portarsi a spasso quel che ci ha offesi, feriti, addolorati nel passato. Come se bastasse il passare del tempo a lasciare passare il passato, a dare tempo a nuove gioie e a togliere il tempo a vecchie pene. Illusi perditempo quali siamo, noi umani, attribuiremo al danaro ogni potere, al prestigio ogni balsamo, alla gloria ogni consolazione: anche per quest’anno che va e che giunge, anche stavolta – salvo poi dire che cambieremo, oh sì, cambieremo. Cambieremo mogli e mariti e lavoro e città e taglia e peso e abitudini e modi e maniere…

Faremo cene e cenoni, riuniremo nonni e nipoti, ci consoleremo tra vini di pregio e cibi eccezionali da ultimo dell’anno (come fosse un ultimo desiderio) o da primo del nuovo anno (come fosse un battesimo) – noncuranti del fatto che facciamo festa al tempo che se ne va come se non fosse perduto bensì guadagnato.

Che teneri, che illusi, che fragili esseri privi di memoria: non vediamo proprio l’inganno? Non vediamo che ogni giorno è ultimo e primo, che ogni istante è primo e ultimo, che i calendari sono convenzioni, che la realtà non è illusione, che oroscopi e auguri non sono realtà, che gli auguri sono solo parole dette per confondere cuori già confusi?

Non sarebbe meglio mangiare e bere con gioia, perché no, e darsi anche qualche piacere del corpo, perché no, ma solo perché vivi e non perché un anno, dopo l’altro, se ne va?

È più sensato, invece, tenersi caro il tempo – unico nostro bene prezioso, altro che moneta – assaporarne gli istanti, considerare ch’esso è danaro già solo perché senza di esso non possiamo acquisire un respiro che sia uno: né il ricco, né il povero possono vivere senza tempo. Il danaro marcisce nel tempo. Il tempo governa senza cedere nulla di sé ai suoi figli.

La gioia dovrebbe stare tutta nell’esserci; nel fare due passi con un amico; nel cullare i propri figli che dormono ancora, accarezzandoli con gli occhi; nel piantare un albero giovane e lasciare che qualcun altro ne contempli, tra cent’anni, la chioma. La gioia dovrebbe essere tutta nel fare, nel pensare, nel salutare il sole e nel decidere di agire: per rendere questo nostro irripetibile passaggio degno di un ricordo e delle nostre migliori capacità.

 

Propositi per il nuovo anno?
Se sai scrivere, o semplicemente ami farlo: scrivi. Se sai viaggiare, o semplicemente ami farlo: viaggia. Sei sai cucinare, cucina. Se sai leggere, leggi. Se sai amare come bocca di rosa o cerbiatto vigoroso, ama e fai veramente quello che ti pare – senza far danni a nessuno, ma senza eseguire una castità gelida e rancorosa. Insomma, usa il tuo corpo, fanne scultura, sappi che per suo tramite (nel tempo) conosci il sapore delle fragole e il profumo delle rose, la bellezza di Caravaggio e la gioia delirante dello stadio, il dolore dell’addio e la felicità dell’abbraccio. Dunque, onora il corpo!

Trova un modo (onesto) di pagare le bollette, certo, ma non puntare tutto sul numero ritardatario e, piuttosto, non fare tardi all’appuntamento decisivo con chi ami; e per il resto sii chi sei; il danaro andrà e verrà, ma non ti fa vivo. Vivi con dignità!

Se desideri un uomo, una donna, chiunque: parla e dichiarati. La lingua del tuo amore sia schietta, non spudorata. Se vuoi fare un dono, fai che sia destinato a durare: meglio un libro o una bici che un apparecchio di plastica destinato ad un anno di noiosa ricerca del prossimo. Soprattutto, nel dono metti solo il dono; e non incolpare mai nessuno. La responsabilità non cresce, come frutto amaro, sull’albero di Giuda. Giuda è stato eroe a maggior gloria del Maestro. Ma nessuno è maestro, dunque perdona!

Cammina, dialoga, ascolta tanto; fai del tuo meglio per rendere migliore te stesso e il mondo. Non pretendere da nessuno quel che tu per primo a nessuno dai. Se ti piace essere ascoltato, allora ascolta. Se ti piace il volontariato, fallo tu per primo. Se vuoi che qualcuno lavori (gratis?) per te, lavora (gratis?) per qualcuno. Se vuoi essere pagato per quel che sai fare, paga chi sa fare quel che fa per te.

Non insultare. Non ledere. Non aggredire.

Perdona. Perdona non come un ipocrita da chiesetta di pettegole e spergiuri; perdona come il magnanimo capace di vedere la sua stessa pochezza. Tutti sbagliano e chi non cede mai né mai concede a chi sbaglia è soltanto un essere addolorato, non è individuo forte; è soltanto un debole, non è un tenace. Chi non recupera un’amicizia è da commiserare; forse è con sé stesso che lotta! Oppure è cambiato tanto da non trovare più nell’amico che ebbe neppure una parte di quel che egli stesso fu. Si cambia, tanto vale mandarsi una benedizione a distanza.

Dei peccati che commetterai o che vedrai commettere, i più ridicoli siano per te quelli che tali sono e che sono ragione di riso. I peccati sessuali (piccoli tradimenti, pornografie di provincia, autoerotismi di solitudine: per carità, che peccati sono, sorridine pure); oppure certe debolezze dei corpi; ebbene, considerali come segni dell’essere e non come offese all’Eterno. L’essere fatica e cade in tentazione. Il miglior santo è quello che s’è sporcato, non quello che neppure ha vissuto!

Sii invece integerrimo contro i danni fatti al pubblico bene, alla Terra e all’Aria, al’innocenza dei bimbi, alla semplicità dei vecchi, a chi è vulnerabile. Considera odiosi i furti di pubblico danaro, le mafie, le violenze domestiche, le guerre, gli inquinamenti ambientali, le iniquità sociali mantenute ad arte, le dipendenze sostenute con finta carità, gli assoggettamenti mantenuti come prove di bonarietà. Ecco i peccati, fatti da chi non cede a improvvisa tentazione, bensì da chi progetta lesioni programmate.

Ascolta. Parla solo per dire qualcosa e non per ridire di qualcuno. Se hai da dire a qualcuno, dillo in sua presenza. Non parlare degli assenti; se lo fai, non ti stai confidando, stai ingiuriando e per di più nascostamente: si chiama pettegolezzo, ed è odiosa abitudine da comare o intellettuale senza spirito. Non vale neppure il tuo ascolto.

Sii pulito/a, sii onesta/o. Sii te stesso/a. Sii verace. L’autenticità è preferibile alla coerenza. L’autentico è capace di comprendere che col tempo si può cambiare. Il coerente è solo capace di attendere che sia il tempo (il Mondo) a cambiare pur di non ammettere che tutti cambiamo secondo occasione e caos. Accetta il caos e traine armonia.

Abbi cura del mondo. Abbi cura di te. Concediti di sbagliare. Lascia ai fanatici le loro ideologie. Lascia agli ideologi le loro idiozie.

Infine, e soprattutto, ama qualcosa, ama qualcuno, ama te stesso. Ama quel che fai, cerca un motivo per alzarti lieto; se non lieto, volenteroso. Fai solo quel che ami, perché di repressi che odiano il proprio mestiere, e ne fanno veleno per tutti gli altri, è pieno il Mondo.

Dunque scegli la tua parte e realizzala con decoro e passione. Soprattutto, ama. Ama gli istanti. Ama la vita; se non quella che hai, quella che puoi avere (ferita e tua) e che puoi coltivare.

Semina ovunque semi di bellezza: buone parole, bulbi di tulipani, semi di girasole. Coltiva aiuole e poesia. Il tempo ti sembrerà migliore quando tu farai cose migliori!

Ama.

Giovanni Bongo

 

Cosa faccio per l’aria?

Ognuno può fare qualcosa. Può fare il suo. A patto di decidere se fare parte della soluzione o del problema.

Lo smog non è un nuovo schieramento politico. Non è di destra, non è di sinistra; anche perché destra e sinistra, nella misura della loro concreta adesione al Potere (che sta devastando il mondo) parlano la stessa lingua.

Mi chiedo: faccio abbastanza? Mentre predico il mio sgomento per lo stato dell’aria e delle terre, faccio qualcosa di importante?

A quanti lamentano le condizioni delle cose svilenti, decadenti, decadute, dei nostri giorni, propongo di risollevare le sorti del mondo – o almeno quelle della propria coscienza – con un modesto impegno quotidiano: da mantenere in futuro.

In primo luogo, possiamo tornare a camminare; camminare per fare, non solo per diletto. Quanto dista la panetteria? Un chilometro? Tra l’andata e il ritorno sono due chilometri; gli stessi che percorriamo sul tappeto, in palestra.

Quanto dista il nostro luogo di lavoro? Quattro chilometri? In quattro e quattro otto possiamo andarci (e da lì tornare) a piedi o in bici: con immenso vantaggio per la nostra circolazione, i nostri muscoli, il nostro scheletro, le nostre tasche, la nostra (e altrui) aria, il nostro umore, il nostro senso dei luoghi, il nostro senso delle relazioni…

Ah, la bicicletta; questo mirabile mezzo di pace e prosperità, con i dovuti accorgimenti, diventa un eccellente mezzo per il trasporto di merci, oltre che di persone.

Ecco, cosa facciamo noi, per la nostra aria, oltre a seguire morbosamente i notiziari scegliendo se stare con chi governa, chi si oppone, chi strepita – e intanto continua ad andare in banca a bordo del suo lussurioso suv?

Camminare, pedalare: due piccole e decisive azioni quotidiane. La politica del cambiamento comincia con il cambiamento della propria politica.

G. B.

 

 

 

Il Clima

Il clima non è dei migliori. Si respira un’aria davvero pesante. Troppa tensione nell’aria; troppe cose non dette; troppe cose dette male. Tutti che dicono e nessuno che fa. Tutti a parlare gli uni sugli altri. Nessuno che ascolti. Poi chi insulta, palesemente, tutti gli altri senza che nessuno gli dica si smettere.

C’è un clima davvero pesante. Qualcuno dovrebbe fare qualcosa. Perché nessuno si alza a dire che così non va? A parole, certo, tutti d’accordo sul fatto che ora dobbiamo cambiare atteggiamento, ma stiamo qui a discutere da ore. Purtroppo è così ogni volta, ogni riunione (a mia memoria) e ogni pranzo e cena finiscono nello stesso modo. Liti a non finire, accuse reciproche, recriminazioni, nessun risultato. Del resto (temo e tremo) la situazione è davvero compromessa. Io non so se possiamo davvero fare molto, ormai.

Del resto, a ben pensarci, perfino io, che taccio e non discuto più con nessuno e non insulto; perfino io, che non parteggio per questo o quel componente la famiglia; perfino io, che cerco di onorare il pranzo e la compagnia, lasciando ben pulito il salone, non sto facendo abbastanza. Insomma, è vero che non sto partecipando alla lite, che non sto contribuendo al pessimo clima generale, che non lo sto avvelenando, ma neppure mi sto sottraendo definitivamente, così da fornire anche agli altri uno scopo; men che mai sto indicando una via d’uscita: a dirla tutta, la via d’uscita è là, a disposizione di tutti. Sarebbe sufficiente, dopo tanti anni di abitudini insane, attraversare il salone, salutare, aprire la porta e dire: Per quanto vi ami, non sono come voi e sono stanco di quel che fate e dite; io ora vado via, prendo la mia bicicletta e vado al parco. Chi di voi vuole unirsi a me per cambiare, definitivamente, le cose? Chi di voi comprende che dobbiamo lasciare ai nostri figli una eredità fatta non di averi, oggetti, ricchezze (sulle quali continuiamo ad accanirci ogni volta che ci sediamo a tavola); fatta invece di amore, di conoscenza, di bellezza, di reciproco rispetto? Dico di più: in modo da lasciar loro il clima migliore di come lo abbiamo trovato noi, sin dall’infanzia (ricordate?) o di come lo abbiamo reso a nostra volta, dopo anni di futili battaglie per il nulla. Chi di voi comprende che dobbiamo lasciare loro possibilità, futuro e, a questo punto, perfino un meno minaccioso presente?

Ecco, sarebbe sufficiente dire più o meno così e uscire all’aria aperta. Per cambiare definitivamente questo clima!

 

Muoviamoci!

G. B.

 

La Nascita

Siamo nati: fragili in corpo e assenti nello spirito. Siamo nati, e grosso modo (se siamo qui) ce l’abbiamo fatta. Il corpo è cresciuto e lo spirito s’è destato fin dal primo pianto.

Che significa vivere? Oggi, più che in altri tempi, che significato ha assunto la vita?

Per il Potere il corpo è una merce tra tante. Meglio, è la merce che giustifica la presenza di tutte le altre merci, beni di lusso, beni “essenziali”, beni di consumo. La società d’oggi ansima ma non cammina; va in palestra ma non passeggia in un bosco; si chiude in automobile per raggiungere la “natura” di un parco a tema; fa diete ma non si nutre; non respira, se non in vacanza; non vive, se non nel week end. La società artificiale ha coniato l’ossimoro, odioso, del tempo libero. Non fosse che il tempo è libero per definizione o non è tempo. L’individuo, a sua volta, fa vita sociale negli spazi virtuali. Non è un eremita tra i boschi, è un solipsista dell’aperitivo…  L’individuo non esiste più se non nella riproduzione zelante del consumismo che lo consuma…

Guerre, fame, carestie, esodi biblici di corpi esangui, barriere frontaliere, migrazioni forzate, accoglienze forzose, corruzioni industriali, integrazioni culturali simili a infeudanti colonizzazioni; disaffezioni parentali, demolizioni familiari in scenari familistici; consumo abusivo di suoli fertili… Deforestazioni, stragi di animali ingrassati per godimenti gastronomici insani… Mentre cifre (di danaro) incalcolabili lasciano labili segni lungo fibre ottiche in connessione permanente; mentre le banche lucrano su danari mai messi in circolo… Il dilemma diventa: come uscirne? (Società artificiale, dal consumismo alla convivialità, di Eide Spedicato Iengo, Giovanni Bongo, Franco Angeli).

Siamo nati. Oggi è il giorno della Nascita. Nasciamo ogni giorno, in realtà, dalle nostre stesse quantiche trasformazioni. Oggi è il giorno della Nascita: dunque porgiamo un saluto vero, facciamo doni sentiti, apriamo con gioia le braccia ai bimbi; e pensiamo con cura alla nostra Nascita: al nostro nuovo fiorire per il rinverdire di nuove possibilità.

Giovanni Bongo

 

 

La forza

La forza è dire, non sottomessi alla legge del compiacimento.

La forza è scrivere, non schiavi degli indici di gradimento.

La forza è il talento, in fiore ma non in fiera: fiero d’essere, semmai.

La forza è il pensiero sottratto alla sua macchinale abitudine: osare, usare, fare; scrutare; sovvertire; provare; sbagliare, riprovare; incedere…

La forza è il silenzio col quale si dà assenso alle idee altrui: è leggere chi legge, ascoltare chi ascolta; è ascoltare…

La forza è la ricerca di nessi in un mondo frantumato dal Potere.

La forza è non ostacolare, non deprivare, non impedire, non invidiare; è crescere con gli altri, favorire, scambiare, condividere…

La forza è non eludere l’illusione, non escludere l’errore, non mimare il bisogno, non tacere l’ingiustizia, non perdere un istante, non illudere chi chiede. La forza è sostenere, accompagnare, aiutare…

La forza è dialogare.

La forza cresce, si erge e non infrange il segreto dell’essere; è germoglio, non scure; custodisce, non sperpera.

La forza cammina, ama, vive in chi ringrazia e ha cura. La forza è cura dell’irreparabile. La forza è il vivente che ha cura del vivere…

G. B.

Festival dell’Inclusione Culturale

Includere. Accogliere. Ospitare. Onorare. Aprire. Aprire porte. Aprire porte che sono sante solo se sono aperte: la santità è ciò che include anche il sospetto, il reprobo, il solo, l’escluso.

Includere: questo è fare giustizia, oggi. Perché non si può eludere il tema della inclusione (culturale, sociale, economica) senza con ciò commettere tacita violenza.

La nostra è una Società costruita a immagine del modello economico che la governa. Il venir meno di ogni minima certezza economica (materiale, alimentare, sanitaria, culturale) mina qualsiasi (altra?) tutela sociale.

In uno scenario in cui si è in ragione di quel che si ha, per molti di noi è fatale il rischio di cadere nel baratro della solitudine, dell’anonimato, della perdita di autostima, nella trascuratezza del proprio valore, nella incertezza della propria dignità, nella depressione individuale e comunitaria; e tutti, oggi, rischiamo di essere “strutturalmente deboli” o  momentaneamente esposti ai rischi della povertà; della povertà intesa in una delle sue molteplici manifestazioni.

La Cultura, da questo punto di vista, preserva la Comunità; difende la Società Storica da qualsivoglia imperativo anti-umano: terrorismo, svilimento morale, criminalità, guerra; e promuove futuro.

La drammatica fotografia attuale del nostro Paese (ma dovremmo dire dell’intero mondo) mostra popoli assoggettati e opulenti a un tempo: distanti da una permanente e solida difesa dei loro diritti universali alla cultura, alla conoscenza e all’arte; e, per un altro verso, abbagliati dal mito della ricchezza o esclusi dall’accesso ad acqua e cibo.

Inclusione culturale significa, dunque, difesa della Società in un sistema fortemente compromesso dal punto di vista ecologico e comunitario.

La cultura è, mai come oggi, indice di vita. L’umanità ha abbandonato caverne di roccia e Caverne platoniche per vivere di virtù, conoscenza e fraterna saggezza.

Questo vuole dire il Festival dell’inclusione Culturale di Lecce dei giorni 16 – 20 dicembre prossimi. Vuol tendere una mano, e l’orecchio, verso chi ha ragioni e cuore per dire che v’è ancora tempo…

Informazioni:

http://www.festivalinclusioneculturale.it

Giovanni Bongo