Ho vissuto molto, e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna, e dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo? Lev Tolstoj
Hai guardato i suoi occhi. Li hai trovati in te; nello sguardo sulle cose che vi avvicina, e che vi allontana, con identico moto: quando sapete di non essere della stessa sostanza che pure vi accomuna.
Con occhi differenti comprendete di avere occhi inadempienti: non era con te mentre scrutavi l’orizzonte.
Hai guardato le sue mani. Hai teso le tue nella ricerca di una risposta che non giungerà. Non sai come fare a dire che non sai proprio come dire quel che faresti – se potessi.
L’incostanza procede nei vostri passi. Siete stati della stessa materia di cui sono stati i vostri sogni, parafrasando il poeta. Talvolta dimenticate la vostra materia – e con ciò abbandonate i sogni. Ora chi siete? Cosa vi lega?
Le peggiori cose che possiate dire nel rancore sono le peggiori cose che si sentono nel rancore di chiunque: allora, tutti, ci misuriamo con l’odio che non sospettiamo di poter nutrire, in primo luogo verso noi stessi.
La pace comincia in sé: il vero peccato della carne è non avvedersene.
Quando pensiamo alla giustizia futura, ai torti passati, agli “investimenti” fatti, alle certezze da conquistare e che meriteremmo di avere (e che invece un solo asteroide potrebbe spazzare via in un effimero istante di fuoco) siamo degli stolti.
Amore. Ecco l’unica parola che dovrebbe starci a cuore. Non l’amore goffo delle ricorrenze prescritte e dei sermoni riscritti; neppure quello delle nevrosi d’ansia fatte passare per buone maniere o per fedeltà (formale) da serbare per sempre. Non conosco un sempre che non sia anche un mai.
Alludo, piuttosto, alla fatica dei passi fatti insieme; alla gioia dei tramonti osservati da un punto incomodo e ventoso, eppure magnifico; alla purezza dell’ascolto di quella lontana voce che riecheggia nei meandri della nostra stirpe e dei nostri atomi, e che dichiara quel che siamo davvero: chi ama ascolta, chi ascolta ama.
Alludo a quella nostra condizione scordata (come suono disatteso e come perdita di coraggio) che abbiamo dimenticato nel volgere del nostro divenire maschere insulse: perché impegnati a costruire presunte certezze sulle quali edificare crudeli prigioni per lo spirito nostro e di chi abbiamo al nostro fianco.
Alludo all’amare incondizionatamente e con forza il suo esistere, il suo desiderare, il suo fare, il suo dire: il suo essere irriducibile al nostro volere, la sua unicità, che ora contestiamo e che non potrebbe essere altrimenti senza con ciò sottrarci la sua presenza.
Dove sei, amore? Questa è la domanda da fare a chi amiamo tutte le volte che crediamo di sapere chi sia.
Senza un tale amore non v’è che recriminazione. Per amare di un tale amore, tuttavia, occorre abbracciare la propria paura più profonda: non essere.
Ad ogni istante, e senza un attimo da smarrire in ruvide dispute, ricordiamo soltanto questo; cosa significhi essere per il tempo che ci siamo: è come sfiorare un tramonto indecifrabile e purpureo – ed essere grati di avervi preso parte.
Giovanni Bongo