Chiedere a chi dà, dare a chi chiede: ecco una morale semplice.
Evitare di fare per gli altri (a loro insaputa o a loro danno) quello che possiamo fare con gli altri.
Quando doniamo, essere generosi: non donare per ricattare, non donare per ottenere riconoscenza, non donare per mostrare il proprio (presunto) potere; non donare per punire.
Semmai condividere.
C’è chi elargisce insulti mentre mette in tavola un piatto caldo. C’è chi usa la frusta della colpa in modo da colpire costantemente il destinatario del suo millantato amore. Non chiamiamo tutto questo bontà. Non è bene, non fa bene, non ha nessun rapporto col bene.
L’ho fatto per te (per la tua salvezza, per la tua verginità, per il tuo futuro, et cetera): ecco la frase preferita da inquisitori e aguzzini e massacratori d’ogni tempo.
Lo facciamo per gli altri? Sempre? Ne siamo certi? Lo dicono anche i despoti, lo dicono anche i tiranni, i falsi maestri, i corruttori, gli amanti incattiviti, i padri narcisisti.
Non facciamo più nulla per gli altri se non riusciamo a comprendere la differenza che c’è tra l’amore e il dominio: la carità sotto falso nome è malafede – oltre che malaffare.
Doniamo come fanno i magnanimi: silenziosi, attenti, sensibili, leggeri. La vera generosità si esercita a danno dell’evidenza.
G. B.