Living is easy with eyes closed. (Strawberry fields foreverer)
John Lennon
Qual è il tempo delle fragole? Quand’è il tempo delle fragole? Oh, le fragole, promettenti e rosse, dolci e pungenti; profumate.
Le fragole bagnate nel limone e nello zucchero; le fragole sulla sommità di crostate alla crema; le fragole perdute nella soffice voluttà obliosa della panna.
Il loro tempo è come il nostro tempo? V’è sempre un tempo per le fragole? Le fragole a gennaio, a febbraio, a marzo? Le fragole a ottobre, a novembre? Le fragole se piove, le fragole col sole? Le fragole sempre, ovunque e ordinate? Le fragole ordinarie, assemblate, inscatolate?
Le fragole in ogni momento, lucide nella gelatina delle frolle domenicali? Le fragole in qualsiasi giorno dell’anno? Qual è il tempo vero delle fragole?
Chiedetelo, chiedetelo a voi stessi. Se sapete con certezza qual è tale tempo, chiedetevi perché non siamo più capaci di attenderle nel tempo.
Perché anticipiamo, prolunghiamo, deroghiamo a un tale tempo come a una legge infranta nell’uso e dalla ragione?
No, invero no, vi è un solo tempo per le fragole. Dunque piantiamo fragole, in giardino e nell’orto, nel vaso o nel più modesto degli spazi; e che abbiano sole, ma un po’ d’ombra e acqua senza eccessi.
Al tempo della loro fioritura, nel maturare emozionante dei fragili frutti, vedremo sulle piccole piante altre infiorescenze immature, verdi e pallide; sapremo che v’è un tempo delle fragole nate e nascenti; che v’è un tempo per tutto e per le fragole…
Giovanni Bongo
Le fragole… non vedevo l’ora che arrivassero, che arrivasse il loro tempo, la loro stagione. Così come si attende tutto ciò che procura piacere, tutto ciò che è motivo di allegria o sollievo.
Così come si attende uno sguardo, una carezza, un atteggiamento che sia risposta ad una nostra domanda: le fragole come l’amore.
E l’attesa stanca. Scoraggia. Affievolisce.
E mi sono ritrovata a strappare calendari che mi avevano delusa con il loro lento scorrere; sono ricorsa a fragole artificiali, senza colore e senza sapore per compensare la mancanza di una dolcezza vera e di una bontà destinata a me. A me sola. Ho odiato le fragole e ne ho maledetto il sapore. Il segno quasi indelebile che lasciano sui vestiti, è stato il buon pretesto per non mangiarne più: buone sì, ma come eliminarne la traccia quando non resta ché il ricordo?
Quando ogni volta che apri l’armadio e vedi quella camicia, ricordi il motivo per cui non la indossi più: anche se quella macchia non è visibile agli altri, tu lo sai che è lì. Segno di giorni, di ore e di momenti di cui non è rimasto nulla. Se non il retro gusto amaro di fragole andate a male. Se non la macchia antipatica di una fragola che ti ha portata a credere che son tutte così: buone e piacevoli e al contempo spietate e vigliacche. E che forse, per non correre i rischi che conosci bene, è meglio non mangiarne più.
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Eppure, chiudendo gli occhi si vive bene; oppure, sapendo attendere, si coglie il frutto che giunge una sola volta; o forse, le rose che non cogliemmo, i frutti che non mangiammo, restano i migliori; o anche, vivere l’istante che è (non un altro), questo è vivere…
Io ho piantato le fragole; devo averne cura.
Grazie.
G. B.
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