Danno la morte, con disinibita temerità; talvolta riluttanti ma vinti dal fato, dalla missione, dallo scopo, dal profeta, dal libro, dal dovere.
Danno la morte con grottesca voluttà, noncuranti – nel nome di un dio già morto.
Danno la morte in questa presunta pace.
Danno alla morte e alla morte si danno, ed essa prende senza alcuna pietà perché è tutto già suo; se v’è chi le anticipa il lugubre saccheggio non le fa torto; al contrario, le serve da servo.
Danno la morte; credono di avere il potere di vita e di morte.
Danno la morte, e chi non sa di meritarla perché nemico di assassini invasati (gli innocenti davvero non la meritano) finisce col meritare di non sapere perché l’abbia avuta in sorte: l’oblio copre l’orrore delle guerre fatte in nome di un qualche demeritato dio nel cuore di città senza difesa.
Danno la morte e ne muoiono credendo di conquistare miglior vita; ma danno ciò che perdono: perché vivendo di morte non muoiono neppure da vivi. Muoiono vivendo, dimenticando il respiro; il respiro, il respiro.
G. B.