Dell’amore (1)

 

Un moralismo applicato all’amore dice: ama il diverso! Così il simile fugge il simile. Che errore fatale, generato forse dalla paura di sé, forse dall’odio sottile per l’amore che ama senza sacrificio: libero e giocoso come Eros prima dell’avvento dello straziante (religioso) sacrificio di Eros!

Perché fuggiamo il simile? Perché disdegniamo le affinità elettive che solo il simile procura?

Così facendo, fuggendo il simile, assecondiamo l’illusione di doverci unire al dissimile, ora a uno ora a un’altra tanto diversi da lasciarci spassionati – stremati dalla dedizione a una “causa d’amore” e non a un amato o a un’amata fatti di carne e di respiro.

Chiariamo l’inganno. La felicità, in amore (come in tutto ciò che è vita) deriva dallo stare con chi è simile a noi e dal fare quel che davvero siamo! Quale idolatria ci spinge a unire il nostro destino a quello di chi, incolpevole, non può darci sollievo ma solo affanno? Quale follia ci spinge a fare quel che non amiamo fare solo per dovere e mai, giammai, per piacere?

Così il piacere, furtivo, diviene sollazzo nascosto, trasgressione crassa, melanconico passatempo, godimento tristissimo: v’è il bancario che solo di notte scrive poesie; v’è la moglie che nella quiete serale sogna l’uomo che non osò amare. Che asfittico spreco di energia.

Il simile, amiamo il simile; sì, amiamo chi con noi gusta il nostro stesso gusto e chi con noi disdegna quel che noi stessi respingiamo. Per lo stesso motivo, facciamo quel che siamo: scriviamo, se siamo nati per scrivere; viaggiamo, se siamo nati per viaggiare; facciamo quel che amiamo fare di noi, senza calcoli e investimenti micragnosi, tanto il reso è da rendere comunque alla fine del nostro tempo terreno.

Il simile, per prossimità profonda, è l’amante perfetto: comprende al primo sguardo, non suscita sermoni, non dà asfissia, condivide i nostri limiti e ci rende unici – perché è nostro specchio, ci rivela, traspare, consente; e ci migliora nella comune tenerezza. Gli affini, non i “diversi” male armonici, si amano.

Amiamo i nostri simili: ecco il consiglio!

Prima, però, accogliamo il simile in noi. A furia di diventare diversi da chi siamo (per smania di distinzione o per vergogna inconscia), abbiamo smarrito noi stessi. Ci siamo omologati per distinguerci, siamo diventati diversi per essere come tutti, abbiamo scelto il “diverso” a dispetto di ogni differenza millantata; infine, abbiamo smesso di amarci e di amare, nel divorzio dalla nostra metà perduta.

Il simile non ci parve abbastanza grande da contenerci; mentre, in verità, era tutto per noi ed era tutto quello che ora ci manca: così simile a noi da apparirci, solo ora, differente, perduto e struggente.

Giovanni Bongo

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