Corpo a Corpo

Il corpo, ora, è stanco. Vuol riflettere. Da solo. Senza assilli, compagnie chiassose, parole che non dicono nulla e discorsi che dicono altro.

Il corpo, esposto, piange. Il corpo, sollevato, ride. Il corpo ha fame. Il corpo ha sete. Il corpo non ne può più; è il mio corpo – sono io.

Mi guardo attorno. Vedo (intuisco) corpi senz’acqua, corpi in ostaggio, corpi abbandonati in una notte di mezza estate sull’isola di Sant’Andrea – a pochi metri dalle notti bianche, e anche un po’ sordide, del lussurioso agosto di Gallipoli.

Ecce corpus: fin dall’inizio, quando microscopico si annida nel ventre di una donna per crescervi beato e amniotico; se va bene, per uscirne urlando, battendosi con l’aria secondo necessità, desiderio e amore. L’amore, non altro, fa emergere dal tempo.

Si può vivere buona vita o non vivere vita buona. Cause esterne e insufficienze proprie possono ostacolare: durezze inattese, patimenti immeritati, debolezza di propositi. Duro è vivere, bello è vivere; vivere è vivere: tautologia dell’evidenza materiale.

Immagino sante anoressiche, col loro sacrificio d’eros; monaci stiliti, seduti in cima a colonne affamanti; oppure, dal lato (apparentemente) opposto, indossatrici esangui nel nome di sorella Moda (e Morte); stilisti immusoniti sulle loro passerelle d’Ercole.

Tutti sono corpo. Chi bene, chi male, chi davvero, chi fingendosi altro fino al prossimo mal di testa. Ecco, ci si accorge della testa che si sa (perlopiù) quando duole. Morale? Il corpo dimentico di sé ricorda cos’è nella sostanza del suo venir meno e c’è vera uguaglianza solo in un destino comune.

Corpo a corpo: non possiamo fare altro che dibattere, dibattendoci nella nostra debolezza, per sapere se sia nato prima il corpo oppure l’anima.

Corpo a corpo: in spiaggia, in studio, in cattedra, in chiesa, in fiera, in festa, in fasto, in fila, in forma, fuori onda, in bilico, in ballo, in ricordo, in oblio. Siamo corpo a corpo – con noi stessi, spesso nell’attesa di quel che è già accaduto.

Giovanni Bongo 

Altre cose

La nostra vita è piena di cose che occupano il posto di altre cose: un gatto, al posto di un figlio; una passione segreta, al posto di un lavoro appagante; una moglie perbene, al posto di una madre perduta; un amante torbido, al posto di un marito tedioso; chiari (eppur finti) indizi di bontà pubblica, al posto di sana rabbia espressiva.

La nostra vita è piena di cose al posto di altre cose: un io al posto di un sé, una maschera al posto di una dedizione; un silenzio al posto di una parola; una vacanza al posto di una decisione; un lussuoso lusso, per colmare una vivace distanza.

La verità, ecco una cosa al suo posto. Non fingere più: ecco un imperativo che suona come una carezza.

Non fingiamo più: di volere esortare, quando vogliamo dominare; di amare tutti, quando preferiamo apertamente qualcuno; di voler solo esprimere un punto di vista, quando siamo divorati da un assordante bisogno di gloria; di essere progressisti, quando siamo solo degli ipocriti; di essere candidi, quando siamo disonesti; di essere felici, quando siamo all’inizio di una felice depressione. Non fingiamo di voler viaggiare con un amico che a mala pena ascoltiamo, di volere un suggerimento che serve a confermare il nostro ego, di aver risolto ciò che ancora ci opprime.

Parafrasando il poeta, diamoci una verità!

G. B.