Incoerenze

Dici di volere la verità. Sai ascoltarla? Ascoltare la verità significa farla sorgere dall’ombra della vergogna. Sai risparmiare vergogna a chi prova a dirti la verità?

Dici di essere cambiato. Io vedo che non sei ancora guarito dal tuo passato, dunque non puoi aver cura del presente né far germogliare il futuro.

Dici di essere leale. Io noto che usi le altrui debolezze contro i deboli; mentre assegni alla tua debolezza il rango di virtù.

Dici molte cose – ma non sei quel che dici; sei ancora quel che sei.

G. B.

Annus nobilis

Non voglio regali, ma doni. Tra i doni, nulla che io stesso non sappia donare.

Sincerità: di là dai costi e senza ferire; per amore.

Amore: di là dal prezzo e senza ingabbiare; in libertà.

Libertà: mai illudendo o millantando; con verità.

Verità: non costringendo né manipolando; nel dialogo.

Dialogo: non per giudicare o indurre vergogna; in sincerità.

Ecco i miei doni. Così sia.

G. B.

Poche parole

Poche parole. Per non fraintendere. Per ascoltare. Per non indurre in tentazione. Per dare solo un’opinione. Per chiarezza. Per onestà.

Poche parole per dire: la fisiologia delle emozioni, il canto degli astri, la poesia dei pani di terra.

G. B.

Sembra

Sembra che non abbiano più piedi – rinchiusi nelle auto, davanti alle scuole dei figli.

Sembra che non abbiano più bocche – inespressivi, sempre chini su foto di albe e tramonti.

Sembra che non abbiano più mani – per ogni cosa chiamano chi agisca per loro.

Sembra che non abbiano più orecchie – dicono di non aver tempo per ascoltare.

Eppure è bello camminare insieme: mano nella mano, occhi per uno e uno per gli occhi; è facile sorridere, guardare il sole rosso, salutare chi passa; è semplice far del pane, curare fiori, mettere pezze a camere d’aria di vecchie bici e vecchie vite; è onesto rispondere all’amico quando ha davvero bisogno.

Sembra che il mondo che diciamo di voler cambiare ci stia bene com’è. Diciamo di volerlo cambiare, ma dovremmo cambiare noi stessi!

G. B.

Presente

Hai presente, il presente?
Ne parli spesso, dici che bisogna goderne, saperlo cogliere, viverlo appieno.

Ogni volta ne parli come del rimedio Futuro a ogni male Passato. E in tal modo lo perdi. Perdi il Presente.

G. B.

Lapis Freudiano

La società, sbrigativa e frettolosa, alimenta inesauribilmente questa sorta di malintesi; si interessa a ciò che voi fate piuttosto che alle ragioni per cui lo fate. Vladimir Jankélévitch

 

Decidere. Deridere. Questo è il dilemma. Se sia in questione una consonante, o due, e anche le vocali. Una “o” o una “ì” accentata, oppure accentuata, per dire che vogliamo il Sì o il No: sanità, scuola, lavoro, diritti, opere pubbliche, grandi opere pubbliche, un parlamento snello, un senato vuoto, un assetto virtuoso per la Repubblica che verrà.

Metti una “o” accanto a una “N”; metti una “ì” accanto a una “S”. Metti una sera o una mattina, metà sospettosi oppure celiando; metti che qualcuno osi dire che le matite copiative non copiavano più. Qualcuno sarà deriso per giorni, gli si dirà “ci sei cascato”, gli si dirà “vatti a fidare”, gli si dirà “io lo sapevo”.

Tanto dacché il Mondo è Mondo, la democrazia non si discute: è tutta in regola. Poi scopri che la Democrazia non vale sempre, non sempre dà luogo a effetti democratici, che a un referendum (fatto saltare in primavera) fa seguito un referendum, che tutto fa saltare in autunno.

Alcuni animali sono più uguali degli altri, scrisse qualcuno. Par vero. Al giorno d’oggi chi ha sospetti è subito sospettato di essere troppo sospettoso: di essere tra quelli che credono davvero che le scie chimiche siano chimiche e non solo scie senza alcuna traccia di canoe di carta.

La derisione, appunto: cosa vuoi che ci sia di strano, nel latte? Fa tanto bene, naturale, bianco, pulito, fonte di calcio, fonte di proteine nobili; fonte di ormoni, fonte di antibiotici, grassi saturi, sofferenze atroci di animali atrocemente gonfiati e spremuti. Il latte, bianca metafora (o allegoria) di tutte le cose imbiancate che nascondono putredine. Ne parlava un Visionario Ebreo Palestinese, tempo fa.

Che ci sarà di strano nelle matite del Viminale? Niente, certo che no. Funzionavano tutte. Abbiamo votato in piena libertà. Il punto non è la matita; il punto è la fiducia, questa cosa bella che ci fa uscire di casa ogni mattina credendo che non ci cadrà in testa un asteroide. La fiducia oggi è indebolita, non indelebile. La fiducia è male in arnese. La matita è solo un arnese, ma la fiducia è un sentimento bello bello che in questa Italia divisa come Verona (di Romeo e Giulietta) non proviamo più.

La verità, del resto, è sempre postuma, successiva, riconosciuta dopo e post datata. Accadde a Giordano Bruno, post mortem; a Galileo Galilei, che pur si mosse; ad Albert Einstein, deriso prima che si comprendesse che la sua matita seguiva un disegno assai diverso da quello più ovvio.

La verità è in bilico anche dopo che è stata dimostrata – fino a prova contraria.

Così va la gaia scienza, così il “fallibilismo” insegna, così va il Mondo, che proprio mondo (cioè pulito) non è. Quindi non è che non ci fidiamo più delle matite, forse non ci fidiamo più tanto di chi ce le mette in mano.

No, il problema non è la matita, ma il progetto: ovvero il sospetto che il patto che ci tiene uniti, o disuniti, possa crollare.

Non c’è monocameralismo che possa convincerci che i Valori valgano meno di una politica che non vuole complicazioni perché non è più capace di complessità  – ora che la Verità non è più detto che ci faccia Liberi.

Giovanni Bongo