Mi fermo

Mi fermo. Siedo. Chiudo gli occhi.

Odo il vento stormir tra quelle foglie; il mio respiro – pe(n)sante. Attorno a me remoti rumori insondabili, costanti, spietati.

Tanto rumore per nulla. Mille affanni: impegni, agende fitte, risvegli notturni, ansia da prestazione, prestazioni occasionali, occasioni prestate e perse. Accuse. Insulti. Poca  dolcezza e scarso ascolto.

Mi fermo. Taccio. Ci dovrà pur essere un senso, mi dico. O forse il senso è solo ricerca, cammino, dolcezza e ascolto. Torno a respirare con piacere, sento con chiarezza, vivo ogni istante come primo e ultimo: grato di grazia ricevuta.

Colgo la bellezza delle cose semplici – fuori di retorica e senza retorica: le cose semplici sono le semplici cose.

Le semplici cose: “respiro, dunque sono”; gli occhi di mio figlio e le sue domande radiose, più illuminanti di quelle risposte accademiche date per onorare un appello di giugno; il rifiorire degli alberi a marzo, l’infinito correre dei secoli, il fatto che i fiumi scorreranno ancora, ben oltre le nostre date di scadenza.

Mi fermo, sento, ascolto. Amo.

Quando i germogli sbocciano non penso alle foglie che cadranno.

G. B.

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