Tornare

Non si torna mai – identici. Non si torna, se non lasciando tracce di sé ovunque si sia messo il piede. Si lascia un calco nel fluido del tempo. Si scruta il punto dove si è stati senza più esserci: e si prova nostalgia del presente.

La materia ne risente appena, ma dà prova del nostro passaggio: qui dei sassi spostati, là un’impronta, altrove una vibrazione effimera dei rami.

Tornare è un verbo illusorio. Sì va e basta. Quel che si lascia non si trova più e se c’è una speranza di permanere è nei segni della grazia, grata, coltivata nei cuori di chi incontriamo: sono i veri recinti del nostro più antico desiderio. Quale? Ecco, desideriamo che nulla muti e che niente trascorra; che tutto sia per sempre. Infine ci accorgiamo che tutto sfugge, che nulla permane, che ogni cosa trema e trascorre. Anche il bosco, le rose, il torrente. Perfino la cresta altissima del monte, così tenace e imponente da nutrire ogni nostro bisogno infranto. Non si torna, si va.

G. B.

Andare

Un buon lavoro. Una buona posizione. Un appartamento con una buona vista. Una carriera prestigiosa. Un’auto di lusso. Una villa al mare. Una casa in collina. Abiti di ottima fattura. Scarpe comode. Un salotto ampio e soleggiato. Un televisore a cristalli liquidi, o a led. Un abbonamento annuale nella migliore palestra della città. Cene settimanali a base di pesce nel migliore ristorante del porto. Un club esclusivo al quale aderire. Un soggiorno esclusivo al quale partecipare. Un comportamento elusivo al quale aderire. Un silenzio esaustivo nel quale precipitare. Un silenzio esteso. Risvegli notturni. Pensieri notturni. Crucci notturni. Incubi notturni. Sedute diurne. Un po’ di tranquillanti. Magari passerà. È solo stress. Troppe riunioni in ufficio. Mi pagano bene. Il mio conoscente, sai, quello laureato in filosofia, non è ancora di ruolo. Ma come si fa? Ma come si può? Alla sua età. Dicono che se ne sia andato. A fare un viaggio, non so, sembra a piedi. Come si può mollare tutto e andarsene? A piedi, poi. Senza neppure un motivo. Così. Su due piedi.

Forse, così, su due piedi, parto anche io. Lo zaino, la borraccia, niente raccomandate con ricevuta di ritorno. Niente avviso bonario. Niente più aperitivi. Sai cosa mi ha detto, il filosofo? Un corpo. Il mio corpo saggio. Mangiare per fame. Bere per sete. Dormire per il sonno e per davvero. Niente di superfluo. Sai, quel filosofo sono io stesso. Doppio di me stesso, sdoppiato nel confronto con chi sarei potuto essere per sempre, a tempo indeterminato, e a tratti fui.

Che bello vivere con poco. Struggersi per i ricordi. Avrei voluto salutare zia, ancora una volta. Ricordo il corpo morbido del mio gatto freddo. Avrei stretto ancora la mia cagna per un po’, era tiepida quando le ho fatto scivolare addosso la prima palata di terra. Avrei voluto dire degli addio. Avrei voluto dire altri ti amo. Avrei voluto esserci sempre, o almeno di più e meglio. Avresti dovuto vedere. Avrei voluto vedere. Ma tutto scorre. È solo un passaggio. Sì nasce e si fatica a vivere, a farsi una posizione, a pagarsi il mutuo. Poi si scopre che a un tratto si resterà muti. Allora, tanto vale andare. Abbraccio mio figlio ogni giorno, per qualsiasi motivo. Lo riempio di dolcezza. Se non mi credi più, ci credo ancora io. Lo faccio io. Anche per te. Ci credo. Preparo lo zaino. Preparati, partiamo. Io parto.

In fondo, nel Campo di Stelle, l’ho detto, scritto e fatto, molti anni fa. Ho detto e scritto: Andare, andare, andare. Null’altro resta!

Sì, pensaci, null’altro resta.

Giovanni Bongo

I prodigi delle stelle

Non andate e non moltiplicatevi. Restate fermi e contemplate. Osservate i vostri figli. Non sono il frutto di un Dio distratto. Sono gemme, germogli, vita che avete scelto o che vi è giunta come luce antica di astri ignoti.

Non moltiplicatevi più, se poi dovete picchiare i vostri bambini fino ad ammazzarli. Non fate figli, se poi dovete colpirli con la rabbia di chi non è stato amato. Piuttosto, partorite voi stessi e imparare ad amare; e amate, se vi riesce.

Lasciate perdere i precetti, i profeti, le tradizioni: se dite di onorare le vostre figlie, perché disonorate, con la vostra lascivia, le giovani figlie d’Africa?

Lasciate perdere ogni Sacra Famiglia. Se il vostro “amore” si ferma sull’uscio delle vostre dimore rispettabili e prive di rispetto, che ipocriti siete?

Non fate figli, se poi date fuoco alla terra, infettate le fonti, uccidete e insegnate il furto, l’abuso, l’ipocrisia, la menzogna.

Che senso hanno i vostri matrimoni capricciosi – se non amate? Perché procreate senza sosta, e senza amore, spinti da un richiamo arcaico e selvaggio, se siete schiavi delle vostre furiose manie?

Ve ne state chiusi nei vostri aperitivi e dimenticate i figli, le loro domande, i loro pianti. Come potete abbandonarli al loro desiderio impazzito? Perché non dite loro una sola parola sui prodigi delle stelle?

Non moltiplicatevi più, non fate figli, se non amate. L’amore non è un mercato, non dà dividendi. L’amore non fabbrica mera materia organica per poi gettarla nell’oblio. L’amore condivide quel che manca, cerca e trova nel nulla, accoglie nelle tempeste dello spirito. L’amore non conteggia i figli. L’amore li considera.

G. B.