Non avrebbe saputo dire se il desiderio fosse già parte della sua coscienza. O se, al contrario, il desiderio lo avesse reso, fino a quel punto, incosciente. Si era rivolto a un saggio, che gli aveva detto: “abbi coscienza del tuo desiderio”. Un altro, invece, gli aveva detto: “fa’ che la tua coscienza prevalga sul tuo desiderio”. Un terzo, infine, aveva sentenziato: “fa’ che il desiderio divenga la tua coscienza”. Era al punto di non sapere più cosa fare, se governare il desiderio, se abbandonarsi ad esso, se abbandonarlo. Eppure, si diceva da giorni, senza desiderio la vita perde consistenza; del resto, ammetteva tra sé, senza coscienza l’anima sprofonda nell’abisso del puro arbitrio, dove il desiderio diviene decadenza. Stordito da tali congetture, avendo egli procurato a se stesso enorme sofferenza per aver desiderato l’indesiderabile; o per averlo desiderato senza desiderarlo, ma solo a causa del suo desiderio di avere ancora desideri, sentendo con ciò di essere vivo, il pellegrino giunse alla sola conclusione possibile: desidero perché sono vivo; ho coscienza di desiderare perché ambisco alla giustizia; dunque, desidero essere giusto senza negare il desiderio e senza con ciò smettere di avere coscienza. Sì, ho compreso: coscienza e desiderio sono il giorno e la notte del mio spirito. Ho bisogno di entrambi. Amen
G. B.