Il vicino ti è lontano. Il lontano ti è prossimo. Non ti comprende chi ami. Ti soccorre, invece, chi conosci appena. Puoi parlare alla straniera. Devi tacere con l’amico. Conosci già i tormenti delle sette solitudini. Piangi di nascosto. Il parente è solo apparente. Il compagno è sempre distratto. La compagna è spesso insolente. I fratelli sono avidi. I cugini sono pavidi. Non trovi riscontro in chi loda il genio di chi è morto – ma solo perché è morto, ché i morti non fanno invidia agli sciocchi. Non trovi ristoro in chi ti rimprovera. Il prossimo tuo non è affatto te stesso. È sordo. È incauto. È sensibile come spine di rovi ardenti ficcati a forza nel tuo cuore. Incontri maestri imbecilli. Ti sbarrano la strada politici ignoranti. Narcisi senza onore decidono se le tue idee hanno valore o valgono un voto.
Ti selezionano imprenditori stolidi. Incontri professoroni inconsistenti, esperti di nulla (per giunta illetterati), tecnici invidiosi a dispetto delle loro triple case in collina. Devi il tuo insuccesso a capi senza coda, a comandanti senza schiena, a bigotti senza misericordia. Ti impediscono di fare perché non riescono ad annientarti. Ti chiedono di leccargli i piedi ma tu hai lo sguardo forte, limpido, amorevole e sputi sulle orme dei loro passi falsi. Si sono serviti di te per strappare un 6 al liceo o per fare bella figura con il segretario di un partito già putrescente. Ti hanno usata, ti hanno deluso. Sei più lucida delle tue amiche immaginarie, sei più intelligente dei tuoi colleghi di corso.
Non hai bisogno di loro. Non sanno chiedere e non sanno donare. Non sanno neppure amare. Strisciano ai piedi dell’insolente di turno, baciano gli stivali del potente di passaggio, non hanno grazia, credono nel danaro e nella pubblicità ma sono solo stupide serve e viscidi lacchè.
Tu hai le mani belle, i piedi turgidi, gli occhi freschi, le spalle solide. Sorridi. I loro soldi, le loro case, le loro cose non valgono un solo verso della tua, per loro incomprensibile, poesia.
Amen.
G. B.