Sorgono dubbi

Vi viene voglia di giudicare? Io non ho più voglia di giudicare. Parlo sempre meno dei difetti altrui perché ho silenzi sempre più profondi da dedicare a me stesso. Vi viene voglia di definire? Io non ho più voglia di definire. Descrivo con tratto leggero e ammetto ogni possibilità: forse la realtà è superiore alla vostra immodesta immaginazione. Vi viene voglia di deridere? Avvertite il ridicolo in voi e lo respingete, ecco tutto. Vi viene voglia di punire? Avete bisogno di amore!

Amen.

G. B.

Vipassana 2

È arrivata la paura, oggi? Ha spezzato il tuo sonno, interrotto i tuoi sogni? Cosa ti ha fatto? Pensaci bene. È attaccamento alle tue avversioni? È avversione verso i tuoi attaccamenti? O è la tua comoda trappola?

Cosa temi? Il mutuo? La carriera? Le rughe? La pressione arteriosa? Il passato che non tornerà? Il futuro che non è arrivato?

Osserva la paura. È tua. È il tuo specchio. Parla di te. Di come ti hanno trattato. Di quello che hai concesso di fare ai tuoi simili. Delle tue rinunce. Della tua viltà. La tua paura è rabbia. È la giustizia che non ti sei dato. È pronta ad esplodere per una sciocchezza.

Aiuteresti un anziano a portare i suoi pesi? Faresti piangere un bambino?

Smetti, dunque, di controllare l’ordine dei tuoi scaffali e non comprare altre scarpe. Abbandona le tue manie  e accogli i tuoi pensieri molesti. Resta in silenzio, respira. Dura tutto un attimo. Stai nei tuoi istanti. Abbi pietà di te.

G. B.

Silenzio 62 (il morbo)

Ora sei fermo. Obbligato a lasciar perdere doveri voleri e piccoli poteri. Siamo fermi. In ansia noia e astinenza. Come fare senza poter fare? Niente shopping, niente aperitivi. Niente business class. Niente voli di andata e ritorno in un solo giorno. Niente caffè e cornetto, ho fretta, grazie, prego, scusi.

Le foreste arretrano, i ghiacciai si spengono e forse non è solo pubblicità negativa. Magari lasciare l’auto serve davvero, ti potresti accorgere delle mani stanche di tua madre, ti potrebbe scappare una lacrima alla vista del corpo ingenuo di tuo figlio. Potresti trovare il coraggio di uscire dall’inganno della Economia Unica Legge del Cosmo. Potresti trovare il coraggio di fare di te stesso esattamente quello che avresti voluto fare di te stesso. Potresti tornare a sentire la tua fragilità, abbandonare la presunzione bipede delle “umane sorti e progressive” e riscoprire voci perdute: i tuoi sogni infranti, le tue inutili smanie, le occasioni in cui non hai saputo dire grazie, ti amo, ti voglio bene, hai bisogno di me? – scusa!

Fermati. Tanto sei già fermo. Chiedi proprio questo: hai bisogno di me?

Amen.

G. B.

Silenzio 32 (del conoscere)

Il viandante conosceva la sua più grande paura. Lo turbava la fine delle cose, ovvero la mortalità degli alberi, dei fiori, degli uomini, di tutte le cose visibili e invisibili. Lo affliggeva il pensiero dell’inesorabile perdita di tutti gli istanti imperdibili.

A tratti gli pareva di voler vivere tutti i tempi nel suo tempo. Avrebbe desiderato essere presente ovunque, in ogni istante della sua esistenza passata, presente e futura; al fianco di tutte le persone conosciute, amate, perdute.

Capì, in tal modo, di dovere sorvolare sui suoi soliti dubbi per intraprendere un cammino ancora più profondo negli abissi della sua coscienza. Voleva conoscersi maggiormente, perdonarsi ulteriormente, amare il più possibile e superarsi nelle prove di ogni giorno. Si era dato un compito: aiutare gli altri a riconoscere le loro angosce. Rifletté a lungo e concluse di saperlo fare. Ecco  il suo mestiere: attraversare l’inconscio e trarre dal fondo del suo essere fango e gemme, infine portare alla superficie della sua consapevolezza sia il fango, sia le gemme.

So far questo! – esclamò sulla pietraia, mentre incedeva solennemente verso la cima. Infine ammise, con elementare rigore logico: se abbiamo bisogno di fabbri, di panettieri, di ingegneri, medici e scalpellini, è pur vero che nessuno può rinunciare a comprendere chi sia, cosa sia, un Uomo!

Tornò a tacere. Fece pace col suo passo, smise di provare disagio per non essere diventato altro da quel che sapeva d’essere, accettò di essere quel che ad altri non sarebbe stato possibile diventare. Era chi era, era com’era: perfetto così imperfetto. Il Mondo ha posto per tutti i mortali e per le loro arti: la prima e l’ultima delle quali si chiama conoscere.

G. B.

Camminare 35 (o dell’accusa)

Il viandante, fermo da qualche minuto nei pressi di un fontanile, aveva assistito a questo dialogo.

Un filosofo, forse uno scettico, aveva detto: Se devi essere punito per una colpa mai commessa, tanto vale che tu commetta tale colpa!

E un teologo, forse idealista, gli aveva prontamente risposto: Questo sarebbe immorale, aprirebbe la via della decadenza. Non peccare mai, invece, neppure a costo della vita di un uomo!

Era intervenuto un terzo, forse un monaco, che aveva sentenziato: Lecito sarebbe difendersi da un’accusa inesatta, ma giammai compiere una colpa ingiustamente subita come falsa accusa.

Sicché, alla fine, aveva parlato una specie di pellegrino, dall’aria dignitosa e serena ancorché stanca. Aveva detto: Di quale colpa parlate? Di un pensiero, che come tale ha la stessa consistenza delle nubi? Di confessioni carpite con l’inganno? Della debolezza della carne di un uomo o di una donna? Ho molto viaggiato nello spazio e nel tempo, ho compreso che la sola colpa è l’odio. Chi odia gli altri, odia sé stesso. Chi giunge all’amore, invece, peccherà ancora ma non odierà più – e questa sarà la sua salvezza. Preferite la redenzione alla distruzione, salverete così la radice di ogni essere.

Il viandante, a queste parole, aveva ripreso lo zaino e si era rimesso in cammino. Solo ma non più isolato.

G. B.

Camminare 34 (o del vero amore)

Il vento sferzava l’altipiano. Il pellegrino camminava da ore ed era come afflitto, non stanco bensì estenuato da un dolore inspiegabile. Ricordava i suoi amori perduti e gli sembrò di dover correre da qualche parte, per fuggire o per cercare.

Quando vide in lontananza il convento, allungò il passo e lo raggiunse smanioso. All’ingresso, tirò la catenella e fece vibrare una piccola campana di bronzo. Aprì la piccola porta in legno di quercia un novizio, un giovane magro dal sorriso dolcissimo, che lo fece entrare senza nulla chiedere.

Il pellegrino voleva incontrare il priore, un monaco di cui aveva sentito parlare tempo prima. Si trattava di un saggio, gli avevano detto, molto sensibile ai temi del cuore.

Seduto al centro del chiostro di quel nudo monastero, il monaco lo fece avvicinare con un cenno della mano e gli offrì dell’acqua. Poi sorrise e lo invitò a parlare. Il pellegrino gli si accostò con rispetto e disse: Buongiorno, saggio uomo, ho voluto incontrarti per chiederti come sia possibile che un grande amore possa tramutarsi in odio… Di tutti i misteri del cielo e della terra questo è il solo che riesca a togliermi il respiro! 

Il monaco alzò la testa e fissò il pellegrino negli occhi. Aveva gli occhi lucidi come se quella domanda gli avesse fatto ricordare qualcosa di dolente. Dopo qualche minuto rispose: Di tutte le cose che ho visto, ascoltato e forse compreso nella mia lunga vita, tale dilemma è l’unico che tolga il respiro anche a me. Io non so rispondere chiaramente, viandante, se non con le parole che ho dovuto dire a me stesso, molto tempo fa. Chi ama tradisce il suo amore se ha paura di scoprire le verità che respinge, se è superbo fino a non ammettere i suoi errori, se pretende di possedere l’oggetto del suo amore, se attribuisce a un altro i suoi stessi fallimenti e se vuole plasmare un altro a sua immagine. Ama davvero, invece, chi non cerca in un altro la perfezione che gli manca, chi non teme di essere deluso e ammette che ogni uomo è destinato ad almeno un fallimento, chi riconosce che nulla dipende soltanto dalla umana volontà. Ama chi perdona sé stesso fino a rispettare gli altri.

Il pellegrino abbracciò l’eremita e uscì di corsa dal convento. Riprese il cammino. Ora, piangendo sulla pietraia, era certo di aver sempre meritato, proprio quando l’aveva perduto nell’odio, un vero amore.

Giovanni Bongo