Silenzio 5

A un tratto gli amici tacciono. I padri non rispondono. Le madri si ritraggono. Il mondo stesso, nella sua interezza, par lontano.

A un tratto è chiaro: inevitabile è ciò ebbe inizio ed è ormai compiuto: si chiama passato.

Dunque, se cerchi una risposta e non la trovi, entra in un silenzio più ampio e considera lo stato presente delle cose.

Ti è permesso sognare. Puoi immaginare, prima di muovere un passo in qualsiasi direzione. Rinnova il pensiero. Purifica le percezioni. Respira più lentamente. Soppesa i termini di giudizio. Dai peso agli istanti. Sii cauto nel decidere. Non essere impulsivo. Apri lo sguardo. Parla poco e per necessità.

Ti rammarichi, ancora, di non aver saputo quel che avresti dovuto sapere fin dal principio per non sbagliare? Ebbene, cosa avresti potuto saperne al tempo?

Vivere non è sapere prima, vivere è conoscere vivendo.

G. B.

Selfie made man

Rendi speciale la sua giornata, oggi la vostra amicizia compie un anno! M’ama, non m’ama, piaccio o non piaccio? Quanti like ho? Mi notano, mi menzioneranno? Dicono che sto proprio benissimo (lo pensano davvero?) e rispondo che mi vedranno presto in diretta.

Peccato, però, che tu non veda chi ti vede. Dici amico e sai ormai poco di lui. Dici amica e non sai come vive. Sono soli? Cosa li fa ridere, cosa li fa piangere? Quanti appuntamenti hai preso e perso? Anagramma di una disfatta: tempo preso e perso.

I tuoi amici non leggono un tuo post già da un po’. Scrivi un post! Fagli sapere che ci sei, senza esserci. C’è chi metterà un like perché si sente superiore: elargirà consenso. Chi non lo metterà perché si sente inadeguato: nasconderà affetto.

Ci faremo foto perché le vedano in tanti ma non ci vedremo affatto! Siamo presi a guardare le nostre smorfie nello specchio dell’irrealtà. Dobbiamo farci da soli, generazione di gente che si alleva in proprio. Dobbiamo far vedere che siamo senza far vedere chi siamo.

Questa è un’epoca nuova. Di nuove conquiste. Siamo imprenditori della nostra incerta immagine. Siamo selfie made man!

G. B.

Camminare 27

A un tratto, il crollo. Non saper continuare. Non sapere dove andare. Non sapere se procedere. Perdere bussola, senso, marcia. Camminare è impossibile, ora, con questo peso dentro e non più fuori. Non è mera fatica, è sfinimento. Non è impegno, è pura astenia. Gli occhi pesano, al risveglio. Le lacrime offuscano lo sguardo, mentre si è in marcia. I piedi non sentono il suolo, l’equilibrio è molle, la volontà è spenta. Che fare? Al bivio, passare oppure cedere? Continuare? Al prossimo bivio, fermarsi? Fermarsi per dormire, per sognare, per morire? Dormire? Non per un’ora o una notte, ma fino all’ultima ora e all’ultima notte?

La delusione ha incontrato la vanità del pellegrino, entrambe hanno sedotto la sua ragione, e ora egli non trova ragioni per continuare: pessimismo fatale, che nel Cammino si incontra, si teme come la peste, non si può prevedere. Che fare vuol dire: cosa ho fatto di me e del mio tempo e della mia vita? Ecco la Crisi, quella terribile e senza rimedio apparente: né gli amici, né la doccia, né l’acqua fredda sulla fronte e sulle cosce, né il vino, nulla. Ecco la Crisi. Secca come il vento torrido, umida come la noia, acuta come il silenzio di una coscienza tanto vigile da apparire ebbra.

E ora? Camminare ancora, cos’altro? Passo dopo passo. Senza vederne lo scopo. Senza avvedersi di farlo. Camminare, l’unica cosa che c’è.

G. B.