Martedì santo?

Natale, Pasqua: solo dettagli specifici nella catena di montaggio del commercio.

Acquisti, niente (o poco) di più che questo. Acquisti. Regali. Pacchi. Carte infiorate (presto accartocciate) e fiocchi plastificati. Mera soddisfazione di un istante. Consumismo applicato al Ciclo dello Spirito dei Tempi.

Mangiate colossali, colossali sprechi, colossali mattanze: di galline, tacchini, maiali, agnelli. Agnus Dei è invocazione del pranzo delle 13.30.

La fede? Una fedeltà meccanica alla circolarità inesausta del consumo.

Chi non crede? Si adegua alla festa baldanzosa.

Né sandali né bisaccia: chi? Solo i diseredati della Terra. Solo i miseri, a loro volta abbacinati dallo spettacolo della nostra opulenta e insensata Società dei Consumi.

Cominciamo a sottrarre obbedienza a un tale meccanismo di ipocrisia e perversione? Cominciamo a disobbedire?

Giovanni  Bongo

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Gli impegni vani

Gli impegni non inseguono nessuno: sono gli uomini ad abbracciarli e a ritenerli un segno di felicità. Seneca

Ha solo bisogno di un parola; o forse di molto altro, ma una parola (all’inizio) può bastare. Sembra così sereno, vero? Invece è deluso. Dà una notevole impressione di forza? In realtà pensa spesso alle cose peggiori.

Le cose peggiori sono quelle che si pensano quando il pensiero non può dire se stesso. Lo stesso pensiero, alle volte, non dice tutto quel che contiene. Contiene dolore chi ci sembra felice, radioso, solido e calmo. La calma non è sempre la virtù dei forti; sovente è la virtù dei delusi e dei soli.

Siamo tanto impegnati da non poterci proprio fermare per un caffè? Da non poter prendere un tè, conversando in salotto e in seguito passeggiando in silenzio?

L’ufficio, le scadenze, la puntualità, gli orari, i doposcuola, gli aperitivi, le colazioni di affari, il cento estetico, la palestra; ma quale palestra, il lavoro a casa, il progetto, il soggetto, il concetto; e poi?

Ha solo bisogno di una parola. Di una telefonata. Di una lettera; di una e-mail; di un saluto; di una forma di presenza.

Già, di una presenza. Presente. Indicativa. Viva.

Chiama un amico, senti un’amica, passa da tuo padre, passa da tua madre. Cura tuo figlio, cura tua figlia. Non fingere di essere tanto impegnato da non avere un sorriso da donare a chicchessia. Oggi non è domani.

G. B.

Aver Tempo

Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perduto molto. Seneca

Il tempo: è fluido, corre, pare fermarsi, non si ferma in realtà. Scorre il tempo. Una Rivoluzione pienamente umana potrebbe essere una rivoluzione nel modo di considerare il tempo che abbiamo.

Rivoluzione, però, è un termine rischioso. La rivoluzione di un pianeta è il suo moto ricorsivo: il suo tornare nell’orbita abituale.

Noi, invece, abbiamo bisogno di sganciarci dal noto. Abbiamo bisogno di una rivolta.

Se proponi a uno di usare di più la bici (per fare il tragitto abituale che lo separa dal posto di lavoro) ti guarda incuriosito. Ammette, con lo sguardo, che potresti avere ragione. Si dichiara pronto al cambiamento. Coglie il nesso tra la tua proposta e la crisi energetica. Sembra convinto, pronto a oliare il cambio e a gonfiar le ruote del suo vecchio arnese a pedali. Sul più bello, però, mostra un’espressione di ravvedimento e di sollievo per lo scampato pericolo. Non deve cambiare nulla. Infatti ti guarda dritto negli occhi e ti dice: “sì, è vero, ma non ho tempo”!

Non avere il tempo per fare qualcosa è il nostro colossale alibi. Non abbiamo (il) tempo per agire contro lo spreco di cibo: buttiamo via il cibo buono e non lo riscaldiamo.

Non abbiamo (il) tempo per fare la spesa a piedi; ne abbiamo per andare dal dietologo in automobile.

Non abbiamo (il) tempo per fare due chiacchiere; ne abbiamo per inviare messaggi pieni di frivolezze.

Non abbiamo (il) tempo per riprenderci (il) tempo.

Ne abbiamo per dire che non c’è più tempo da perdere: per fare cosa?

G. B.

Cose che voglio

Le cose che ho. Dimenticate. Tante. Vecchie. Per ricordo. Per raccordo. Per racconto. Le cose che ho. Che dimentico. Che potrei usare. Che potrei dare. Che potrei vendere o donare. Le cose che ho. Da riempirci una stanza, un appartamento, una casa, una valigia. Mi servono? Quanto servono? A chi servono? Che uso ne farò? Che uso ne ho fatto? Che uso potrei farne? Apro un cassetto. È pieno. Lo chiudo. Da dove cominciare? Non so che farmene. Non so che fare. Le cose mi impediscono di fare. Ho troppe cose. Ne compro ancora. Ogni giorno mi viene voglia di una nuova cosa. Cose. Quante cose. Res. Cosa. Res. Cogita. Cosa? Che cosa voglio?

Sono le cose, le cose che voglio?

G. B.

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Piantare

Seminare, piantare, disseminare: arbusti, semi, alberi. Si tratta di una scelta doverosa, di un connubio di caos e necessità: da fare per forza e benevolmente.

Contrastare l’effetto serra, liberare ossigeno nell’aria, assorbire anidride carbonica dall’atmosfera, sequestrare inquinanti, moderare l’impeto di piogge sempre più frequenti e violente: ecco solo alcune delle virtù delle piante.

Senza dire della loro bellezza, dei loro frutti; e del dialogo che esse offrono.

Campi di fragole, per sempre; boschi, ovunque; giardini, in ogni luogo: piantare è l’infinito del nostro futuro.

G. B.

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Camminare 5

Uva acerba, uva matura, uva passa, tutto è trasformazione, non verso ciò che non è, ma verso ciò che ora non è.

Marco Aurelio

S’è fatto giorno, ora di andare. Salutare il luogo. Benedire il giaciglio. Onorare il pane del mattino. Sfiorare con le dita gli angoli di casa. Ora di andare. Mettere di nuovo lo zaino sulle spalle. Spalle stanche e forti, ristorate dal sonno e provate dalla lunga marcia. La marcia non è finita.

Consola sapere di dover camminare ancora molto tempo. Per molto, ancora per molto. La meta è chiara. Un punto noto scritto nel taccuino. Un pretesto, forse.

Il giorno è alto. Indugiare è bello, ma occorre andare, salutare gli ultimi compagni della notte; mettersi in marcia senza troppo desiderio, perché il cielo azzurro, e pieno di una luce paga di sé, sembra un invito al gioco.

Un cane saluta qualcuno.Gli uccelli sembrano muoversi a caso, nel vento capriccioso. Occorre andare.

Andare, andare, andare. Null’altro resta.

G. B.