Silenzio 38 (amore mio)

Forse non sono io colui che cercavi. Forse ho disatteso il tuo credo. Forse ho accresciuto i tuoi forse. Forse ho ridotto i tuoi sì. Forse ho alimentato i tuoi no. Forse ti ho tolto certezze e ti ho delusa. Forse ho chiuso troppi ponti e forse ho confuso certi conti.

Resta il fatto che ci sono sempre stato – perfino nelle mie distrazioni. Resta il fatto che ti ho sempre amata. Resta il fatto che oggi tu nascesti – e io sono felice che tu esista anche per me. Io devo cambiare e forse anche tu. Perché amare è cambiare.

Così sia.

Giovanni Bongo

Camminare 38

Cammina leggero. Il che implica che tu sia leggero oppure che lo diventi. Cammina senza pensieri. Lascia ai pensieri il loro passo. Svuota la mente. Cammina a mani nude, non trattenere inutilmente ciò che hai patito o i tuoi timori. Non lavare le mani per pulirti la coscienza. Non ricattare te stesso. Annienta la colpa.

Un mese è un giorno. Un mese è un millennio. Non tradire più chi ami. Non tradire più te stesso. Piuttosto vai via per sempre, se sei indeciso, e scegli un borgo o un bosco o una spiaggia.

Cammina senza aspettarti più nulla. Ringrazia. Datti una meta ma non farne un mito. Sappi camminare. Non fare propositi, realizzali. Scrivi ovunque vuoi e da ogni parte lancia messaggi.

E sogna. Sogna a occhi aperti. Nel dolore si è davvero soli. Ora devi sognare.

Così sia.

Giovanni Bongo

Silenzio 36 (Getsemani)

Ora mi ritiro. Come un’onda richiamata dalla marea. Come un vento trascorso tra placide fronde d’ulivo. Come un tempo consumato dal tempo. 

Ora so che un secondo è un millennio, un’ora è un secondo: vorrei rivivere, vorrei rimediare e non potrò.

Ora so che doni desidero. Amore e rispetto; nulla ha senso senza amore e rispetto.

Ora so che bastano una parola e un gesto a dare salvezza.

Ora so che la prova del mio valore fiorirà tra le mie enormi sconfitte. Come in un Getsemani di solitudine, pianto e sudore: vita che lotta per chiedere ascolto e continuare a vivere. Così sia.

Giovanni Bongo 

Silenzio 35 (il lutto)

Le sette solitudini sono cominciate. Così la svantaggiosa idea di non farcela. Pertanto il viandante è nella scomoda posizione di chi può distinguere il vero dal falso. Ora possiede le ceneri, che in realtà non gli appartengono, e riconosce, uno ad uno, l’ipocrita, che non è affettuoso; il falso, che non è davvero partecipe; il narcisista, che finge compassione e invero si guarda l’ombelico; il freddo, che non è il forte e compassionevole compagno di dolore. I pensieri del viandante sono intricati come rovi su rocce di altura. Il viandante ora è rabbioso, ora è stordito: prova rancori e pulsioni inspiegabili. Come un Buddha cerca di osservare tutto senza farsi vincere. In realtà ha paura, è debole, ha propositi cupi. Cammina sempre sul filo del panico. È stordito da un senso di vuota colpa. Vuole abbandonare il superfluo: pensieri molesti, rapporti finti, luoghi totalmente insignificanti ai suoi occhi. Lo zaino dovrà essere leggero, non ha più la schiena di un tempo. Come si fa? – si chiede di continuo. Si risponde col motto coniato quando gli veniva facile essere saggio, perché non conosceva i peggiori dolori: quando non sai come fare, fai come non sai! È questione di mesi. Così sia.

Giovanni Bongo

Silenzio 34 (del morire)

Non esiste la morte, esiste il morire. Questo si ripete il viandante da alcuni giorni. Vorrebbe raccontare a tutti il suo dolore oppure tacere per il resto della vita. Procede a stento, col passo rotto degli ebbri e dei folli. Nella sua mente: amore, astio, confusione, delusione, disperazione, disprezzo del mondo e di sé stesso, risentimento, rabbia, paura, sconforto, rara speranza, stordimento, progetti, disillusione, desideri, apatia, fame, inappetenza, volontà, malinconia e tutto l’alfabeto delle cose visibili e invisibili.

Fatica a stare in piedi, a parlare, ad ascoltare. Sua madre è morta. Ecco lo strappo. Le ha tenuto le dita fino quasi all’ultimo respiro, fissandole lo sguardo svuotato dal dolore.

Il viandante non fa che ripensare a tutto e al Nulla. Sente di essere morto in parte anche lui, perché moriamo con chi è fatto della nostra stessa sostanza. Attende le sette solitudini. Prevede l’incomprensione degli altri, la disfatta dei codici umani abituali, la perdita di non poche certezze. Del resto, la morte rivela mentre annienta.

Il viandante desidera abbracci e carezze, non vuole sentirsi dire cosa fare, vuole che gli si tenga la mano e che lo si ascolti. Ogni giorno prova colpa se sorride, sollievo se piange, angoscia mentre avverte la necessità di vivere ancora – per i suoi figli, per la sua donna, per suo padre. Eppure, come fosse un grande pegno, il dubbio più grave lo affligge: riuscirò nell’impresa di sopravvivere?

I desideri, un tempo elettrizanti, lo importunano; i bisogni, ogni ora necessari, lo infastidiscono: il viandante è vivo ma non sa più come vivere.

Lo atterrisce il silenzio, tante volte esaltato come condizione necessaria dello spirito; lo solleva la notte – sebbene cerchi ogni giorno la luce del giorno.

Il viandante impreca, sfidando Dio e il Cielo; prova a meditare; parla da solo, piange e discute in compagnia di sé stesso.

Ripete che non c’è la morte, c’è il morire: la caduta degli istanti, lo svanire dei corpi, la nostalgia del cibo mangiato insieme, la felicità di potersi salutare ancora il giorno dopo.

La felicità? Ne ha vissuta tanta ma senza avvedersene. Ora gli è chiaro che si scopre sempre a cose fatte ciò che si è fatto: quel che si è stati e quanto tutto fosse semplice e bello.

Il viandante teme di poter crollare come un vecchio muro, eppure avrebbe ancora tanto da dire e da farsi dire, da fare e da curare – con sua madre. Ormai non può più. 

Pianterà un albero e porrà una targa ai piedi della terra – per ricordarla con un gesto vivo. Preparerà lo zaino e partirà per un lungo viaggio a piedi; cambierà terra ed esistenza – se necessario. 

Gli restano un Giardino, le sue buone opere, i suoi amori, i suoi passi; e la cenere dei suoi rimpianti.

Giovanni Bongo