Non esiste la morte, esiste il morire. Questo si ripete il viandante da alcuni giorni. Vorrebbe raccontare a tutti il suo dolore oppure tacere per il resto della vita. Procede a stento, col passo rotto degli ebbri e dei folli. Nella sua mente: amore, astio, confusione, delusione, disperazione, disprezzo del mondo e di sé stesso, risentimento, rabbia, paura, sconforto, rara speranza, stordimento, progetti, disillusione, desideri, apatia, fame, inappetenza, volontà, malinconia e tutto l’alfabeto delle cose visibili e invisibili.
Fatica a stare in piedi, a parlare, ad ascoltare. Sua madre è morta. Ecco lo strappo. Le ha tenuto le dita fino quasi all’ultimo respiro, fissandole lo sguardo svuotato dal dolore.
Il viandante non fa che ripensare a tutto e al Nulla. Sente di essere morto in parte anche lui, perché moriamo con chi è fatto della nostra stessa sostanza. Attende le sette solitudini. Prevede l’incomprensione degli altri, la disfatta dei codici umani abituali, la perdita di non poche certezze. Del resto, la morte rivela mentre annienta.
Il viandante desidera abbracci e carezze, non vuole sentirsi dire cosa fare, vuole che gli si tenga la mano e che lo si ascolti. Ogni giorno prova colpa se sorride, sollievo se piange, angoscia mentre avverte la necessità di vivere ancora – per i suoi figli, per la sua donna, per suo padre. Eppure, come fosse un grande pegno, il dubbio più grave lo affligge: riuscirò nell’impresa di sopravvivere?
I desideri, un tempo elettrizanti, lo importunano; i bisogni, ogni ora necessari, lo infastidiscono: il viandante è vivo ma non sa più come vivere.
Lo atterrisce il silenzio, tante volte esaltato come condizione necessaria dello spirito; lo solleva la notte – sebbene cerchi ogni giorno la luce del giorno.
Il viandante impreca, sfidando Dio e il Cielo; prova a meditare; parla da solo, piange e discute in compagnia di sé stesso.
Ripete che non c’è la morte, c’è il morire: la caduta degli istanti, lo svanire dei corpi, la nostalgia del cibo mangiato insieme, la felicità di potersi salutare ancora il giorno dopo.
La felicità? Ne ha vissuta tanta ma senza avvedersene. Ora gli è chiaro che si scopre sempre a cose fatte ciò che si è fatto: quel che si è stati e quanto tutto fosse semplice e bello.
Il viandante teme di poter crollare come un vecchio muro, eppure avrebbe ancora tanto da dire e da farsi dire, da fare e da curare – con sua madre. Ormai non può più.
Pianterà un albero e porrà una targa ai piedi della terra – per ricordarla con un gesto vivo. Preparerà lo zaino e partirà per un lungo viaggio a piedi; cambierà terra ed esistenza – se necessario.
Gli restano un Giardino, le sue buone opere, i suoi amori, i suoi passi; e la cenere dei suoi rimpianti.
Giovanni Bongo
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