Sono altro. Non come noi. Sono diversi. Sono neri; oppure marroni, colorati, di colore. Non sono come noi. Muoiono in mare, spesso. Muoiono in guerra. Muoiono di fame, di Aids, di stenti. Hanno bisogno di aiuto. Poverini. Poveri. Poveretti. Poveracci.
Peccato però. Sono africani. Sono asiatici. Sono di dove sono. Di dove sono? Sono tanto bravi, questi qui che vengono qui. Certo, bisogna aiutarli; lo dice anche il Papa. Meglio a casa loro. Meglio, sì, a casa loro.
Da noi come si fa? In mare, cadono. In mare cadono e annegano. Spesso. Come petali pesanti, come petali stanchi. Come petali pensanti. Come petali parlanti. Come petali muti.
Emergono dal bianco calce del profondo orizzonte pieno di cose in una spiaggia. Ne vedo apparire a gruppi, oppure soli, oppure sole, sempre al sole. Come figure solide. Come figure tutte intere e ben formate.
A gruppi di due. Oppure isolati ma a breve distanza gli uni dalle altre, tanto da sembrare folla.
Vengono verso di noi con le loro cose: merci varie, stagionali, periodiche. Ci sono gli anni dei cd, quelli dei cappelli, quelli dei teli. Portano cose, annualmente diverse dalle cose dell’estate prima ma in fondo simili alle cose di ogni estate.
Portano cose nuove e uguali. Portano bei teli di cotone indiano. Portano cappelli. Oppure legni di statue, strumenti musicali, borse. Portano mani. Portano libri. Portano piedi. Portano occhi neri nel bianco di occhi neri. Portano il portamento placido dei loro corpi lenti. Così emergono e così scivolano, lievi, dicendo poche cose, mescolando lingue, accenti, intonazioni. Lanciando un’occhiata alle volte già stanca prima di chiedere. Sorridono sempre. Salutano cortesi. Scompaiono alla vista così come sono arrivati.
Mi pare che l’intera spiaggia sia ferma e che loro soltanto si muovano – come figure di un presepe annuale, estivo, caldo, placido.
Vengono dal bianco di sole e sabbia, finiscono nel bianco di sabbia e sole. Nessuno, o quasi, se ne accorge. Essi vendono, vedono, vanno. Noi non vediamo. Fingiamo di non vedere. Non dobbiamo vendere.
Qualche bagnante poggia gli occhi sui corpi suadenti di donne nere dritte come domande. Qualche bagnante scruta distratta una merce. Chi li saluta, chi li tollera, chi finge di leggere per non dovergli parlare – tutti li osservano scivolare lungo la spiaggia.
Arriva spesso e si annuncia: è arrivato Mustafà, dice. Nel Salento.
MI guardo intorno. Mi guardo dentro. Uno fa un tuffo, uno fa un bagno, quasi quasi compro un telo, mi servirebbe quella borsa, belli quegli occhiali finti che sembrano originali. Bello tutto.
Però quanti sono, leggi nello sguardo dei turisti. Leggi anche, nelle loro teste turistiche, frasi logiche: non si può sempre comprare qualcosa, dovrebbero starsene a casa, in Africa, a cercare di darsi da fare a casa loro. Leggi anche: toh, hai visto quel ragazzo che muscoli? Sarà senegalese? Ah, i senegalesi sono così ritmici. Quasi quasi mi compro una statuetta e la regalo a mia suocera. Quanti sono, però, troppi davvero. Sto mangiando il panino, no grazie no, non voglio la tua merce.
Leggi ancora: ecco, arrivano pure gli indiani, portano i gioielli. Ci sono quelli dei tatuaggi, quelle delle treccine. Basta però!
Torni al tuo sguardo sulla loro fatica immane. Vanno e vengono. Come le onde. Il sole è bianco. La spiaggia è bianca. Alla fine pure loro sono bianchi. Non li vedi più. Si muovono. Questo lo noti. Si muovono. Eppur si muovono. L’Africa estiva dura quanto una estate. Poi ci si dimentica di quanti erano. Bianchi. Come noi. Come nessuno. Come niente. Come se nulla fosse.
Il canale di Sicilia li raccoglie come petali. Il mediterraneo ne serba a migliaia. Chi ce la fa arriva qui. Magari ce lo ritroveremo a vendere tappeti l’anno prossimo. Ci sarà chi partirà e chi resterà.
Li ritroveremo in spiaggia. Dall’acqua al mare. Chi di loro sa le lingue ci parla pure in dialetto. Ci vendono le cose.
Ammettono che a Lecce stanno bene, lo ripetono a chi glielo chiede. Noi le compriamo, le loro cose, quando ci pare che possano esserci utili, quando pensiamo che possa essere loro utile fare due soldi.
Ci scambiamo due parole. Gli offriamo un frutto. Non ne sappiamo nulla. Né loro sapranno di noi. In fondo chi ne sa niente di chiunque, a ‘sto mondo? Sono troppi però, sono tanti. Come si fa ad accontentarli tutti? Sono neri ma diventano bianchi come la sabbia e il sole. Sono neri come quello che non vediamo quando siamo al buio. Non li vediamo perché siamo fermi e comodi nel nostro posto al sole.
In fondo la meritiamo tutti un’estate, di quando in quando.
Giovanni Bongo
Pensi che t’abbiano ascoltato? Io non credo.
Guarda lui, è talmente concentrato sulla foto che ritrae il topless di quest’estate. Ma proprio concentrato. Che ci sarà poi da capire…
Credo che non t’abbiano ascoltato neanche loro: il volume della tua voce non ha superato quello con cui il tormentone di quest’anno rimbomba nelle loro orecchie. Proprio alto, il volume. Perché non sfugga una sola parola…
Lei? Temo che non t’abbia ascoltato nemmeno lei. È così addentrata nella sua lettura: come dimagrire mangiando, come abbronzarsi senza sudare, come amare senza soffrire, come guadagnare senza lavorare, come viaggiare senza spendere… eh sì, è proprio presa da tutti i paradossi che possono cambiarle la vita.
Chi?? Il gruppetto lì in fondo? Uhm… non credo t’abbiano concesso ascolto ed anche se l’avessero fatto, non avrebbero capito: loro sono tra quelle persone che ripetono ciò che altri dicono, fanno quello che altri fanno e riempiono l’aria e la loro pagina facebook di giudizi e condanne. Non t’hanno ascoltato: ascoltano solo quello che risulta conveniente e poco impegnativo. Per non parlare di loro, la bella famiglia qui, accanto a te: t’hanno guardato con stupore mentre parlavi con il Ragazzo che camminava con passo rassegnato sulla sabbia. T’hanno guardato meravigliati mentre gli domandavi e mentre rispondevi. Di te avranno pensato che sei un “tipo strano”: di-quelli-che-parlano-con-tutti. Perché non stupisce mica la solitudine: stupisce l’accoglienza che cerca di alleviarla. Non meraviglia la fatica e la stanchezza del Corpo carico di oggetti e indumenti e sogni da raccontare: a meravigliare sono le orecchie che li ascoltano. E a scandalizzare, non è la malizia e la diffidenza con cui la gente guarda e risponde, se risponde, e si atteggia nei confronti di tutti i Mustafà che passano loro davanti: scandalizza, invece, la mano tesa verso di loro… con un frutto? Roba da raccontare in giro.
Forse, mi vien da pensare, è un bene che loro non t’abbiano ascoltato: la loro apatia, il loro dissenso, la loro chiusura, la loro paura, avrebbero offeso e ferito ancor di più l’Uomo e la Donna a cui son rivolti.
T’hanno ascoltato Loro. Lui. Lei. T’hanno ascoltato Coloro di cui hai parlato. E a cui poco importa del topless e del tormentone di quest’anno, a cui non interessa ascoltare chi parla e parla, e dice ben poco. E a cui i paradossi che possono cambiar la vita, non destano alcun interesse. Paradossale, per loro, è essere evitati senza esser visti, snobbati senza esser notati, allontanati senza esser conosciuti. Paradossale, per loro, è la normalità con cui la gente che li ferma e acquista da loro, proprio non riesce a vederli.
Forse perché, gli occhialoni da sole, da loro stessi venduti,oltre che proteggere dalla luce, proteggono anche da un’evidente, accecante realtà.
Ecco, gente in spiaggia, ho concluso anch’io.
Ah, già: non ci stava ascoltando nessuno.
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L’ascolto è questione quantica: c’è dove sfugge la materia, scompare dove la materia governa.
Ascoltiamo dopo anni quel che ci fu detto. Ci sfugge, nel presente, quel che ci viene dichiarato.
Nella “distrazione” si cela gran parte della nostra falsa coscienza; o della nostra paura; o della nostra innocenza; o del nostro divenire, incapace di trattenersi in se stesso.
L’ascolto è cosa quantica.
Qualcuno ci sta ascoltando.
Grazie.
G. B.
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